Le Masche, In passato contadini e abitanti del Piemonte credevano a streghe e diavoli e ogni volta che accadeva qualcosa di strano, si pensava che fosse stata opera delle masche, ossia delle streghe.
Il termine MASCA è una parola molto antica e forse significa "anima di morto".
Alcuni studiosi credono che la masca piemontese, sia simile alla “Borda”, strega Toscana che uccideva i bambini con una corda e che era conosciuta anche in Emilia Romagna e in Lombardia. Spesso la masca oltre a essere cattiva era anche dispettosa e con qualità sovrumane. In molte località del Piemonte si credeva che il sacerdote, mentre celebrava la messa, riusciva a individuare le masche e chiunque toccasse il sacerdote nel momento in cui lui avesse intravisto la masca, avrebbe acquistato i suoi stessi poteri.
Un altro modo per trovare una strega in chiesa, era quello di mettere una croce nella pila dell'acqua santa e così la masca non poteva fuggire.
Un altro modo per trovare una strega in chiesa, era quello di mettere una croce nella pila dell'acqua santa e così la masca non poteva fuggire.
A Camburzano si raccontava che le streghe, prima di morire, lasciavano il gomitolo con cui compievano i loro incantesimi a qualcuno che volesse continuare la loro attività e che lo sapesse dominare e comandare.
Se la nuova padrona non sapeva comandarlo, le forze misteriose contenute nel gomitolo, la picchiavano. Nelle valli del Cuneese, si credeva che la masca, prima di morire, trovata la persona adatta a cui affidare la sua eredità di stregoneria, pronunciasse queste parole: "…ti lascio il mestolo".
A Pragelato, le streghe prima di morire gettavano il bastone tra le vie, mentre nel Biellese, si credeva che la masca non potesse morire se qualcuno non collaborava con lei. Le masche sul punto di morire lasciavano un loro oggetto: chi il gomitolo, chi il mestolo, chi la scopa, chi il libro del comando; ogni oggetto aveva la propietà di trasformare in strega chi ne entrava in possesso. In alcune zone si credeva che nella stanza dove moriva la masca, svolazzasse per ore un moscone.
Nel Cuneese, in alcuni racconti, la donna appariva come un'incantatrice, pronta a trasformarsi in masca ma soprattutto in gatto, animale maledetto o in prediletto dal demonio. I piemontesi, inoltre, credevano che le masche scioglievano le fatture fatte dai maghi e trasformavano la magia benigna in magia maligna.
Gli abitanti del Canavese, mettevano di fronte ai casolari un ceppo bruciato nella notte di Natale, per allontanare il temporale, originato dalle masche. Ad Ingria in Val Soana, gli abitanti del paese portavano a benedire in chiesa tutto ciò ritenuto contagiato dalle masche.
A Bairo per liberarsi dal maleficio, si mangiava pane benedetto in chiesa nel giorno di San Giorgio. A Vistroso nella Valle dell'Orco i bambini maledetti venivano fatti benedire per tre volte da tre preti differenti e passando, ogni volta, per un corso d'acqua. A Cimaprasole, la fontana di Nivolet portava sfortuna ai viandanti perché era frequentata dalle masche.
A Canischio, nel monte Mores, c'era il ritrovo delle masche. Tra Rivara e Forno, un castagneto era il luogo di convegno di streghe e diavoli. Presso Castelnuovo Nigra, i bricchi di Filia grande e piccola, indicavano i luoghi dove furono condotte al rogo le donne accusate di incantesimi e stregonerie.
Dal Canavese al Norvarese, c'era una lunga lista dove si ritiene abbiano dimorato le masche.
A Ossola le streghe più famose erano la VAINA si presentava come un neonato che emetteva vagiti pietosi, e la SPLORCIA, un mostriciattolo con muso da porco, ali da pipistrello, zampe di rospo, muggiti, belati, miagolii. Vicino a Novara, si pensava che il terreno dove si era combattuta la battaglia e la sconfitta dei Savoia nel 1849, era popolato da spiriti, specie da un mago: in queste zone la credenza delle masche era cruda e drammatica. Il 29 settembre del 1472 a Forno Rivara, vennero bruciate tre donne del rogo mentre, nel 1474 nel Canavese, ci fu un processo contro quattro donne del posto, due delle quali furono bruciate vive a Prà Quazzoglio, con l'accusa di aver operato incantesimi e stregonerie.
A Rivara, sempre nello stesso periodo, vennero accusate di stregoneria altre cinque donne e a Ciriè altre due donne vennero accusate per lo stesso motivo: le donne venivano sottoposte a torture o esorcizzate. L'esorcismo consiste nell'ottenere l'emissione per vomito, capelli, chiodi, pietre, animali vivi, oggetti. La tortura serve a costringere le donne ad attribuirsi colpe che non hanno e spesso sono condannate al rogo.
Nelle Langhe e nel Monferrato, le levatrici e le madri dei bambini, hanno raccomandato di non lasciare ad asciugare all'aperto i panni dei bambini per evitare che uno spiritello portasse male ai bambini attraverso i panni. Si crede che per scoprire le masche e mandarle via, occorre bruciare la legna e le catene della stalla e colpirle con un bastone per costringerle a rivelarsi e a promettere di abbandonare le proprie magie.
Un altro rimedio è quello di mettere sulla porta di casa dei rametti a forma di croce o una scopa sul focolare. Quando la masca arriva, conta i fili di saggina, ma non essendo abile in matematica, impiega molto tempo ed è scoperta dal suono delle campane dell'alba. Molti consigliano di circondare la casa con un filo di canapa filato da una ragazza vergine che prima di allora non avesse mai usato un foso.
Le erbe anti-streghe e anti-malocchio è la ruta, l'ortica, la verbena, l'erba artemisia, la malva e le foglie di ulivo benedetto; in alcuni luoghi si guarisce il malocchio mettendo tre gocce d'olio in una scodella piena d'acqua appoggiata sopra la testa del malato. Per intensificare la cura, bisogna mangiare il cuore delle rondini perché è ritenuto un calmante.
Se sono gli indumenti assoggettati da un incantesimo, è sufficiente farli bollire e recitare alcune formule di esorcismo. A Bernezzo si consiglia di far bollire la catena del focolare o la catena con la quale sono legati gli animali nella stalla, quando si ha il sospetto che le masche abbiano operato sortilegi.
In Piemonte si ha paura dei gatti perché si crede che sotto il loro aspetto si nasconde quasi sempre una strega. Se un gatto si nasconde sotto una culla di un neonato, il bambino cresce deforme e se si deve lasciare solo un neonato è necessario mettere su una culla un indumento che serva a tenere lontane le masche (es.un cappello, una calza, ecc…).
Nella zona di Alba, si posa sulle fasce di un neonato un panno con disegnata un'immagine sacra.
Un'altra precauzione è quella di portare al collo un sacchetto contenente sale triturato misto a una candela benedetta; (il sale deve essere fine così la masca si incanta a contare i granellini).
Le donne hanno l'abitudine di spargere sale nei letti e nelle stanze.
Per compiere i loro malefici le masche si servono si servono di figurine di cera e di argilla per la pratica dell' iffissione. Pare si possa usare con gli stessi risultati un gomitolo, una candela o una calza. Nelle Langhe si utilizza il libro del comando e le formule magiche contenute. Altre credenze sono quelle relative alla morte e al buio. Il buio e la morte sono ritenuti fonte di pericolo per bambini piccoli, infatti si crede che se hanno fatto brutti incontri in tali periodo di tempo, possono diventare guerci, gobbi o pazzi.
Chi riesce a scrutare la realtà a fondo, può prevedere il futuro. Chi indovina il peso esatto di uno oggetto prima di porlo sulla bilancia, a dei morti l'avvertimento che non ha tardato a prenderlo con loro.
C'è la credenza che bisogna lavare tutto ciò che il morto ha indossato per non trattenerlo sulla terra e lasciarlo andare presto in cielo. Si dice che le anime di morti che sono in purgatorio ascoltare le loro colpe, nelle sere calde estive, vanno nei cimiteri per vedere se sono ancora ricordate e invocare preghiere, e si mostrano in fiammelle che vagano nelle tombe.
Alla sera prima della ricorrenza dei morti e uso nelle case contadine lasciare sul tavolo della cucina una zuppiera di minestra e un piatto di castagne: in quella notte i morti di famiglia si trovano a bancheggiare. La linea di demarcazione tra concezione magica e concezione religiosa è molto sottile. Il sacro e il profano si mescolano sempre alla vita quotidiana.
Nelle Langhe è radicata la credenza che certe persone influiscono negativamente su bambini e animali e per togliere la maledizione si ricorre a una fattucchiera o si chiede una benedizione speciale al sacerdote o si ci rivolge ai poteri guaritori di erboristi o settimi, a volte accompagnati dalla fama di stregoni.
Di settimi ed erboristi , ce n'è in quasi tutti i paesi e i pazienti giungono a consultarli anche molto lontano, e quelli del paese consigliano non medicine del posto per essere più liberi. I guaritori consegnano decotti che in alcuni casi sono miracolosi: cure che non spesso hanno una loro spiegazione logica.
Sicuramente una delle Masche più famose è “Micillina” che si spostava tra Langhe e Monferrato ecco la sua storia……..
MICILLINA
Micaela Angiolina Damasius, nata di Barolo e maritatasi a Pocapaglia, è una figura tra la storia e la leggenda: una celebre strega di cui ancora oggi si narra nelle campagne dell'astigiano, nota con il nome di Micillina.
La sua storia rientrerebbe nei processi per stregoneria, ma la tradizione ne ha talmente trasfigurato i contorni da dover essere annoverata tra le leggendarie masche piemontesi. Vissuta durante la metà del Cinquecento, Micillina fu effettivamente bruciata come strega dopo un regolare processo, ma probabilmente era una di quelle fattucchiere un tempo non rare nelle nostre campagne. Su di lei vivono ancora molte leggende: poteva uccidere gli uomini fulminandoli con lo sguardo, deformare i bambini, gettare il malocchio, compiere fatture su uomini e animali.
Si racconta che un giorno, mentre parlava sulla porta di casa con alcune vicine, toccò sulla spalla una bambinetta: il giorno dopo alla giovinetta spuntò la barba. In un'altra occasione si vendicò di un ragazzetto del paese che, al suo apparire, preso da comprensibile paura, si mise a correre: nella fuga il bambino cadde e quando si rialzò aveva un piede rivolto in avanti e l'altro indietro.
Il marito, un uomo onesto e stimato da tutti, era in preda alla disperazione: mai avrebbe immaginato d'aver sposato una masca, né i suoi sistemi correttivi, piuttosto energici, servirono a molto. Vedendo che le minacce non erano sufficienti e che la moglie continuava nelle sue pratiche occulte, decidette di cacciarla da casa, dopo un'ultima ed energica bastonatura. Micillina vagava pensierosa per la campagna tra Pocapaglia e Bra, pensando a come vendicarsi e infine chiamò il diavolo in suo aiuto. Satana non si fece attendere, pare sotto le sembianze di un cavaliere vestito di nero e la strega gli confidò di volersi liberare di quel marito tanto incomodo.
Fu presto accontentata: il cavaliere nero tracciò sul terreno, senza proferire parola, un ampio cerchio e le ordinò di mettervi dentro un piede, disegnò strane figure nell'aria e pronunciò certe formule magiche. A questo punto Micillina diventò compagna del diavolo e Satana le disse che poteva finalmente vendicarsi. La strega non indugiò, la sua vendetta fu semplice e poco faticosa: si recò al campo Baudetto dove il marito era intento alla raccolta delle mele, diede una scrollatina all'albero su cui l'uomo era arrampicato e rimase vedova. Fortunatamente, non si risposò.
Libera dalle pastoie coniugali, Micillina fu libera di dedicarsi alle sue arti, diventando ancora più abile nei suoi malefici. Tutto il paese la temeva, ma nessuno osò mai denunciarla. Il suo odio si rivolse sul fornaio del paese.
A quei tempi il forno era comune ed il fornaio passava ogni giorno nelle case a prendere l'impasto da porre alla cottura: una mattina l'uomo la chiamò per tre volte consecutive.
Micillina non si fece vedere e la sua casa sembrava deserta. Finalmente comparì tranquilla e sorridente a dichiarare con semplicità che quando era stata chiamata per la prima volta si trovava ancora al ponte di Pavia, presso Pollenzo, dove aveva fatto morire un povero carrettiere, la seconda era vicino a Pocapaglia e alla terza chiamata aveva appena cominciato ad impastare. Poco dopo, sempre per i suoi sortilegi, anche il fornaio morì.
La condanna a morte e la maledizione di Micillina
Quando però la masca deformò un bambino lasciato incustodito, esplose l'ira del paese e dovette intervenire la giustizia: arrestata e condotta sotto buona scorta alle carceri, Micillina confessò le proprie colpe al padre inquisitore e al podestà.
Dopo aver fatto atto d'abiura e aver rinnegato i suoi legami con il diavolo, ricevette l'assoluzione dal padre inquisitore, il quale le impose, secondo l'uso del tempo, una penitenza da farsi sia spiritualmente che temporalmente.
La penitenza spirituale consisteva nell'andare sempre scalza fino alla morte, udire ogni giorno la messa, confessarsi e comunicarsi ogni settimana, digiunare ogni venerdì e sabato e non mangiare mai carne. La penitenza temporale consisteva invece nel dedicare interamente la propria vita a Dio.
Micillina se la sarebbe cavata con una buona dose di penitenze ed onesti propositi, ma l’intervento della giurisdizione statale fu meno indulgente. Temendo che tornasse alle sue pratiche, ammonito dalle precedenti esperienze, il giudice fu inesorabile: la strega venne condannata ad essere impiccata, quindi bruciata e le sue ceneri sparse al vento.
Il 29 luglio 1544 Micillina fu caricata su un carro trainato da due buoi bianchi, condotta sulla collinetta brulla e venne legata ad un vecchio castano morto. Vuole la leggenda che mentre Micillina veniva condotta al supplizio si sentivano per l' aria certi orribili miagolii e contemporaneamente il suolo eruttava alcuni fili ingarbugliati: voci misteriose invitavano Micillina ad afferrarne un bandolo, ma la strega non poteva farlo, stretta com’era dalle catene e guardata a vista da un buon numero di guardie. Quei gomitoli erano gettati dalle streghe e dal diavolo.
Con la sua morte tuttavia non scomparvero le stregonerie: di Micillina è infatti scomparsa solo la parte corporea, il suo fascino e la sua magia rimangono, le sue arti sono passate in eredità alle compagne che vogliono vendicarla, mandando ogni disgrazia sui contadini di Pocapaglia.
Accadono fatti misteriosi e terribili: vengono trovate molte chiocce disperse nei campi con miriadi di pulcini che invece del solito pigolio emettono uno stridore simile a quello prodotto dalla lima del fabbro; per le campagne vaga un ragno viscido e immondo, di dimensioni enormi ma con zampe cortissime, che grugnisce come un maiale e fugge a nascondersi tra le rocce e i rovi; i montoni diventano mostri dalle corna smisurate, dal pelo irto e setoloso, e fischiano come serpi.
Per i contadini non c'è dubbio che in tutti questi fenomeni ci sia la presenza delle masche.
Vi è poi un luogo, detto "Bric d'la masca Micillina", a cui non è consigliabile avvicinarsi troppo. È un grosso masso cosparso di macchie rossastre: qui, si dice, fu bruciata la strega e le macchie sono state prodotte dal suo sangue che né la pioggia né il trascorrere del tempo hanno potuto cancellare. Quanto a Micillina, si crede che torni periodicamente sui luoghi delle sue gesta, talora appare sotto forma di gatta famelica, ululando pero' come un lupo.
Alcuni detti Piemontesi sulle Masche:
- Esse come la Masca ‘d Salerno (La bruttezza al punto massimo)
- Vëdde le Masche (vedere le streghe – passare un brutto momento)
- La ca dle masche (la casa delle streghe – l’inferno)
- Scarpentà come na masca (Spettinata come una strega – le masche infatti per pettinarsi usavano il “pento dle masche” ovvero il cardo dei lanaiolo, pianta che produce grossi capolini spinescenti.
Chi avesse storie sulle Masche in Piemonte può raccontarle qui, sono parte del nostro vecchio Piemont.
Mirò
Fonte: IPS Velso Mucci – Istituto Quarini
1 commento:
Buonasera Mirò, se potesse vorrei che approfondisse gli argomenti circa le tradizioni del Piemonte. Grazie
Posta un commento