La Bagna Cauda, in Piemonte va ben oltre il piatto tipico per buono che sia, è un rituale al quale nessun Piemontese, ma non solo, si sottrae ogni anno per più volte; a questo piatto come a nessun’altro sono dedicate tante confraternite, sagre e citazioni.
Quando parli del Piemonte per prima cosa pensi alla Mole Antonelliana ma subito dopo sicuramente alla Bagna Cauda, uno dei pochissimi piatti della cucina italiana alla quale sia stata dedicata anche una poesia di quel grande poeta e giornalista che è stato Arrigo Frusta.
Il post è diviso in 4 sezioni:
* La ricetta
* Il rito
* Il vino
* La poesia
La ricetta:
per 4 – 5 persone occorrono: 200-250 gr. di olio di oliva nobile, mezz’etto di burro, 100-150 gr. di acciughe carnose pulite e lavate, 4 spicchi d’aglio.
Mettere a fuoco lento, in un tegame di terracotta, l’olio, il burro e le acciughe affinchè si sciolgano, a parte avrete tritato le fische d’aglio che avrete lasciato in ammollo nel latte per almeno due ore (serve ad attenuarne il gusto e aumentarne la digeribilità).
Aggiungere l’aglio alle acciughe e cuocere a lungo e fuoco lento fintanto il tutto non sia ben amalgamato e diventi come una crema.
Portare in tavola bollente, nel mezzo del tavolo piazzare un fornello a spirito (oppure una piastra elettrica), mettervi sopra il tegame con la bagna cauda (deve essere mantenuta ben calda durante tutto il pasto).
La variante più comune è l’aggiunta di panna da cucina a fine cottura.
Si accompagna con ogni tipo di verdura cruda o cotta, le più tipiche sono i cardi gobbi ed i peperoni.
Il rito:
Regola numero uno l’importante è che la bagna cauda sia costantemente calda, quasi bollente, per questo, oggi, si serve in tegami individuali (fuiot), con ognuno il suo lumicino scalda intingolo, anche se la tradizione vorrebbe che il tegame venga lasciato sul fuoco del fornello o sulla brace e ognuno vada a intingere il suo pezzo di verdura con il forchettone in una mano e un pezzo di pane nell’altra.
Sicuramente è più fattibile lasciare il tegame al centro del tavolo sul fornello a spirito di cui si parlava in precedenza.
Se mangiata in una località delle Langhe, immersi nel verde delle colline con la nebbiolina autunnale che sale i profumi sprigionati da questa salsa ci portano a sognare paesaggi e storie d’altri tempi….e che bei tempi.
Il vino:
Il vino è parte integrante della bagna cauda, non è possibile pensare che in tavola vi siano bottiglie d’acqua o bevande varie.
Un tempo si spillava il vino direttamente dalle botti, vin bun, oggi la scelta è variegata e ogn’uno ha la sua idea in proposito.
La tradizione vorrebbe un bel Barbera d’Asti di almeno 12,5°, oggi siamo più raffinati e parliamo di Barbaresco o Nebbiolo invecchiati almeno tre anni.
Ii mio voto va a la Barbera d’Asti, i profumi di un buon barbera non si scorda facilmente e ti riporta immediatamente alle mitiche “piole” che popolavano le Langhe e il Monferrato e che hanno fatto la fortuna turistica di queste zone.
La poesia:
BAGNA CAUDA
Bagna Càuda e povron che paradis!
Che spatuss na polenta con j’oslèt!
Che dòi al cheur un vòlovàn ‘d pernis,
gnòch a la bava e tornedò ‘d filet!
E i vëddo passè an seugn subrich ëdris,
trance ‘d buij con doi ò trè bagnet,
sivè ‘d singhial, fondue, flan ‘d radis,
e saladin-e ‘d trifole e sarset.
E peuj ancora fricassà ‘d merluss,
trutole al bur, anguile, carpionà
e bërgonsòle e tome ‘d Coconà.
e torte al santilì. Ah! che spatuss!
Che anghicio! Che bel seugn ch’i l’eu mai fait!
………………………………………………………….
Antratant im argalo ‘d ris al lait.
(Arrigo Frusta)
1 commento:
Uno dei piatti più buoni che che ci siano.
Voglio provare a farla. Complimenti Zia Fiorella seguo anche il tuo blog di ricette.iao
Ciao
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