Storia del Sindacato: La fondazione della Confederazione generale del lavoro
Alla fine del 1906 nei locali di Corso Siccardi che da oltre un decennio ospitano la Camera del lavoro torinese, viene inaugurata la sede centrale della Confederazione generale del lavoro (Cgdl), la futura Cgil.
Nata nel corso del congresso tenutosi a Milano dal 29 settembre al 1 ottobre precedenti, ha l'intento di riunire in un solo organismo nazionale la variegata e instabile compagine del sindacato italiano costituita da camere del lavoro, leghe e federazioni di mestiere. Rivestono un ruolo di particolare rilievo la Federazione dei metallurgici (Fiom), la Federazione dei ferrovieri e la Camera del lavoro di Milano.
La nuova organizzazione è guidata nella sua fase iniziale (dal 1906 al 1918) dal riformista biellese Rinaldo Rigola.
Orientata a sviluppare un sindacalismo di tipo contrattuale imperniato sulle categorie industriali, la Cgdl non può trovare terreno migliore di quello torinese per sperimentare la validità del proprio progetto.
Agli inizi del Novecento, infatti, Torino è diventata un importante centro industriale caratterizzato dalla presenza di un nucleo di moderne imprese meccaniche, tra le quali spiccano quelle legate alla produzione automobilistica.
Richiamata dalla crescente domanda di lavoro, la popolazione operaia è salita a 80 mila unità (circa un quinto del totale): una compagine articolata e mobile che si raccoglie attorno a un nucleo numeroso (ma non maggioritario) di operai professionali. Fedeli sostenitori di un socialismo di orientamento riformista, questi avevano già costituito l'ossatura delle numerose leghe di resistenza.
Nel fronte industriale, inizialmente compatto nel contrastare le rivendicazioni operaie, si è intanto fatta strada una posizione più conciliante, influenzata dall'ideologia liberista britannica efficacemente propagandata da Luigi Einaudi e Attilio Cabiati.
Essa riconosce nella trattativa sindacale il metodo più razionale per risolvere i contrasti con le maestranze e nel conflitto correttamente esercitato una componente fisiologica del progresso economico e sociale.
La condivisione di questo atteggiamento da parte dell'imprenditoria più avveduta è all'origine:
- della nascita della Lega industriale torinese (luglio 1906), chiamata a tutelare gli interessi delle imprese ma anche a stabilire rapporti con i sindacati operai
- della sigla, poco dopo, di un accordo tra la Fiom e l'azienda Itala che per la prima volta riconosce e tutela la rappresentanza sindacale dei propri dipendenti.
Le speranze suscitate da questi episodi tuttavia tramontano già l'anno seguente, al sopraggiungere di una recessione economica destinata a prolungarsi fino alle soglie del conflitto mondiale.
A fare le spese dell'inevitabile inasprimento dei rapporti sociali è soprattutto la strategia moderata e gradualista della Cgdl, la cui diminuita efficacia influenza negativamente anche la crescita dell'organizzazione (nel 1910 gli iscritti raggiungono a stento i 300 mila in tutta Italia, dei quali 32 mila in Piemonte).
A giovarsi della situazione sono invece i sindacalisti rivoluzionari, le cui parole d'ordine raccolgono un crescente consenso tra le file di un proletariato inquieto ed esasperato. Gli appelli del sindacalismo radicale dell'Usi (Unione sindacale italiana) riescono a fare breccia anche tra i lavoratori torinesi, alimentando una crescente diffidenza verso le iniziative negoziali dei confederali.
La crisi tra la Cgdl e la base operaia precipita tra il dicembre del 1911 e il gennaio del 1912, quando l'assemblea dei lavoratori del settore automobilistico respinge il nuovo regolamento di fabbrica concordato tra la Fiom e l'associazione degli industriali.
L'immediata proclamazione dello sciopero, sollecitata dai rivoluzionari intervenuti nel dibattito, dà inizio a una lotta lunga e sfortunata, al termine della quale il fronte operaio appare irrimediabilmente spezzato e indebolito, quello padronale concordemente tornato alla pratica dell'intransigenza.
dopo due anni di paziente preparazione e l'uscita di scena dell'organizzazione estremista, la Fiom riesce a riportare gli imprenditori al tavolo del negoziato.
Perché da esso sortisca un'intesa (che comunque solo in parte ristabilisce gli accordi precedenti) la sola mobilitazione operaia non è questa volta sufficiente: per convincere gli imprenditori è necessario l'energico intervento dell'autorità politica, giunta fino a minacciare di espulsione il capo della Lega industriale Louis Bonnefon Craponne.
Fonte: Stoia e Cultura dell’Industria
Nessun commento:
Posta un commento