Dalla ricostruzione al miracolo economico
Al termine della guerra l'atmosfera prevalente nella maggior parte degli stabilimenti industriali - nel Piemonte come nel resto del Paese - è di incertezza e di disordine.
Se la prima è riconducibile alle difficili prospettive della ricostruzione economica, il secondo è in gran parte conseguenza dell'accresciuto potere dei lavoratori, i cui organismi rappresentativi contendono alle indebolite gerarchie aziendali il controllo di fatto degli ambienti di lavoro.
Nell'ottobre 1945 il nuovo sindacato unitario, la Cgil, ha celebrato il congresso costitutivo ed è impegnato a ricostruire la sua rete organizzativa attorno alle fabbriche, a loro volta presidiate dalle commissioni interne e dai Cln aziendali.
A questi organismi, in numerose aziende del Centro-Nord, cominciano ad affiancarsi i "Consigli di gestione": il loro obiettivo principale consiste nell'esercitare un controllo sulle decisioni dell'impresa, in particolare su quelle riguardanti gli investimenti produttivi, lo sviluppo
dell'occupazione e leprovvidenze a favore dei dipendenti.
Grazie all'iniziale disponibilità degli imprenditori, i Consigli si diffondono rapidamente anche in Piemonte includendo, alla fine del 1947, 77 aziende tra le quali la Fiat, la Riv, la Burgo, l'Italgas, i Cotonifici Valle Susa.
L'intento partecipativo e collaborativo che li anima espone tuttavia questi organismi alle alterne vicende dei rapporti tra datori di lavoro e sindacato, entrati definitivamente in crisi sotto i colpi della sconfitta della sinistra nelle elezioni dell'aprile 1948 e della successiva rottura dell'unità sindacale.
Il tramonto del clima resistenziale e l'accentuarsi dei contrasti tra capitale e lavoro segnano il destino dei Consigli, la cui presenza declina fino a estinguersi - con poche eccezioni - negli anni 1953-1954. La loro uscita di scena sanziona la sconfitta del progetto mirante a imprimere un carattere democratico e progressista alla ripresa industriale in corso nel Paese.
Agli inizi del nuovo decennio l'industria italiana, sostenuta dagli aiuti del Piano Marshall e stimolata da una congiuntura mondiale favorevole, entra in una fase espansiva che implica tuttavia un radicale ammodernamento delle strutture e l'adozione di procedimenti organizzativi capaci di garantire la competitività della produzione nazionale.
Riduzioni d'organico nei settori maturi, intensificazione dei ritmi di lavoro nei comparti emergenti, contenimento generalizzato dei salari sono elementi costitutivi del "miracolo economico" che si sta avviando, ma anche motivo di un'aspra conflittualità sociale, come testimonia ampiamente la cronaca sindacale piemontese dell'epoca.
La riorganizzazione imposta dall'incalzare della concorrenza estera è alla base della ripresa delle lotte operaie nel distretto tessile biellese, mentre nella principale azienda del cuneese, la Snos di Savigliano, una crisi invano contrastata dai lavoratori causa una riduzione dell'occupazione da oltre 2.000 a soli 284 addetti (novembre 1952).
Alla Fiat, infine, il presidente Vittorio Valletta apre le ostilità nei confronti del sindacato di sinistra (la Cgil, ora a maggioranza social-comunista) nella convinzione che il ripristino della disciplina nelle officine costituisca un pre-requisito per il progettato decollo della produzione di serie dell'automobile.
Una delle poche - se non l'unica - voce dissonante nel fronte industriale si leva da Ivrea: è quella di Adriano Olivetti, in procinto di varare nell'impresa di famiglia un programma di modernizzazione che punta al coinvolgimento non solo delle maestranze ma dell'intera collettività del Canavese.
Il progetto "comunitario" olivettiano, arricchito dal contributo di tecnici e intellettuali richiamati dalla novità dell'esperimento, è però destinato a restare isolato e a tramontare con la prematura scomparsa del suo ideatore.
Il convincimento più radicato tra gli imprenditori resta quello che associa lo sviluppo dell'industria con la limitazione del potere sindacale e la riduzione dei conflitti.
A fornire un'apparente conferma di questo legame è proprio la Fiat, che nel marzo 1955 può salutare - con pari soddisfazione - la nascita dell'utilitaria "600" e la sconfitta della Fiom-Cgil nelle elezioni di commissione interna, sopravanzata per la prima volta dalla Fim-Cisl.
L'insuccesso del sindacato di sinistra è in primo luogo il frutto della politica vallettiana, abile nel coniugare la sanzione dei comportamenti antagonisti con l'offerta di incentivi salariali e di un sistema di welfare aziendale destinato ai lavoratori più leali e disciplinati.
Ma gravi responsabilità pesano anche sulla strategia della Cgil, imperniata su una rigida centralizzazione e su mobilitazioni generali dispendiose e di scarsa efficacia.
La vasta eco dei risultati torinesi indurrà la direzione sindacale a un profondo ripensamento, sollecitata anche da una clamorosa caduta delle adesioni: in un solo anno, infatti, la Cgil perde 1 milione di iscritti, 120mila nel solo Piemonte.
Poiché queste defezioni non si traducono quasi mai in un passaggio alle altre organizzazioni, il risultato è quello di una massiccia de-sindacalizzazione, condizione con la quale gli operai italiani convivranno per tutto il decennio successivo.
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