lunedì 15 novembre 2010

Torino “Turin” – Itinerario 1/3 – Palazzi e piazze nel cuore della città

Per chi volesse conoscere un po’ meglio Torino , questo è il primo di tre itinerari che in cui è stata divisa la piccola guida,  itinerari che partiranno sempre dal cuore di Torino, ovvero,  Piazza Castello.

Piazza Castello è il cuore di Torino, perché:

qui si svolsero molte delle vicende storiche della città nell'arco di duemila anni,

di qui si avviò, nel ‘500/’600 il fenomeno di rinnovamento edilizio e urbanistico di Torino,

qui è compresa tutta la complessa struttura degli edifici del potere sabaudo: Palazzo Madama , il Palazzo Reale , la Biblioteca Reale, l’Armeria Reale, l'Archivio di Stato, il Teatro Regio .

    La grande Piazza venne disegnata nel 1587 dall’orvietano Ascanio Vitozzi, l'architetto di Carlo Emanuele I, che realizzò il giro di edifici eleganti, solari, uniformi, porticati su tre lati.

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Oggi, a quasi quattro secoli di distanza, sta per concludersi nella piazza un importante intervento di restauro, che ha lo scopo di ritrovarne il volto antico e l'ambiente più rappresentativo della grande Torino seicentesca. Vengono inoltre riportate alla luce le fondamenta dell'antica galleria che collegava Palazzo Madama a Palazzo Reale.

    In Piazza Castello, ponendoci con via Garibaldi alle spalle, osserviamo la superba facciata di Palazzo Madama . L'edificio segue la struttura romana della città, infatti venne costruito sull'anticaPorta Praetoria. Nel 1276 il marchese di Monferrato  divenne signore di Torino e fece costruire un castelletto. La Porta Praetoria, sulla quale fu costruita la "casa-forte", venne chiamata Porta Phibellona e in seguito Porta di Po. Il marchese venne imprigionato da Tommaso III di Savoia, cui dovette cedere Torino.

    I principi di Acaja, discendenti di Tommaso III, non apportarono cambiamenti al castello, ma crearono una piazzetta attorno. Nel 1402-1418 Ludovico d'Acaja rinnovò in modo rilevante il castello. Rifusi i due rami dei Savoia, sotto Amedeo nell'edificio venne aperta un'uscita laterale fortificata sul lato nord (verso via Po) munita di ponte levatoio.

    All'interno del castello erano presenti saloni da ricevimento, una "camera di giustizia", le segrete dei sotterranei e le torri, che vennero trasformate in stanze circolari. Nella metà del '400 il castello perse importanza e solo verso la fine del secolo ritrovò tutto il suo splendore grazie ad Amedeo IX di Savoia  e assunse un ruolo di rappresentanza, testimoniato da banchetti e cerimonie. La moglie del duca Carlo I fece costruire una galleria per congiungere il castello con il "Palazzo del vescovo", l'attuale Biblioteca Reale.

    Nel 1537 Torino cadde sotto la signoria dei francesi i quali preferirono abitare nel palazzo vescovile e venne demolito il sistema difensivo del castello. Nel 1557 dopo la battaglia di S. Quintino tornano i Savoia, Torino divenne capitale del ducato ed il castello incluse prigioni e milizie.

    Carlo Emanuele I poi si occupò maggiormente del Palazzo e della Galleria e, in seguito alla costruzione della "Cittadella", il castello perse il ruolo di fortificazione, trasformandosi in una residenza sontuosa abitata dai figli e dalle figlie di Carlo Emanuele. Poi l'esterno dell'edificio subì un ulteriore intervento a livello decorativo in occasione delle nozze tra Vittorio Amedeo e Cristina di Francia (la prima "madama" reale).

    Alla morte del principe Vittorio Emanuele, Cristina assunse la reggenza in nome del figlio Carlo Emanuele II e diede inizio a lavori nel castello. In questo periodo forse il castello acquistò la denominazione di "Palazzo Madama". Continuarono i lavori per questioni di sicurezza e di spazio, dovendo l'edificio diventare abitabile per l'intera famiglia. Il cortile venne sostituito con un atrio-salone al pianterreno e un altro salone al primo piano. L'opera è attribuibile a Carlo di Castellamonte, che intervenne anche con delle decorazioni all'interno del palazzo.

    Più tardi Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, nuova "madama" reale, rimasta vedova, si trasferì al Palazzo con il figlio Vittorio Amedeo e assunse la reggenza. Con lei ripresero i lavori nell'edificio.

    Dopo alcuni decenni Filippo Juvarra modificherà il volto del palazzo con decorazioni interne. L'ultimo piano del palazzo verrà usato da Giovanna Battista per ospitare artisti importanti. Nel 1706, durante l'assedio alla capitale da parte dell'alleanza franco-spagnola, il castello venne colpito da bombe.

    Con la vittoria di Vittorio Amedeo II, il Piemonte raggiunse il suo periodo di maggior splendore. Giovanna Battista tornò nel suo palazzo nel quale organizzò grandi feste. Anna d'Orléans, moglie di Vittorio Amedeo, acquisì il titolo di regina.

    La duchessa Anna chiese l'intervento di Juvarra, il nuovo architetto del sovrano, per il rinnovamento degli appartamenti e dell'esterno del palazzo; questi progettò un collegamento con il Palazzo Reale. In quel periodo il Castello conservava una facciata arcaica e il ponte levatoio.

    Con l'intervento di Juvarra l'edificio divenne il miglior palazzo torinese e uno dei punti fondamentali dell'architettura europea del '700. L'architetto diede il disegno e il modello della nuova facciata, con scalone ed atrio, nel 1718; nel 1721 la facciata è compiuta. L'architetto interviene anche in alcune stanze del Palazzo. Tutta la sua opera è caratterizzata da spontaneità di sentimento e di invenzione unita ad una razionalità e ad una chiarezza prettamente settecentesche, illuministiche, includendo la luce all'interno della struttura architettonica con risultati di estrema armonia.

    Dopo la morte dello Juvarra vennero riproposti progetti di rifacimento del Castello, ma l'impostazione juvarriana del palazzo non mutò. Palazzo Madama negli anni continuò ad ospitare principi reali. Rischiò due volte la demolizione, quando i francesi presero possesso di Torino, ma Napoleone lo impedì. Nel 1814 Vittorio Emanuele I riprese il possesso di Torino e il castello diventò prigione e caserma. Poi vi si aggiunse l'osservatorio astronomico e, in seguito, Carlo Alberto collocò nel palazzo la "Reale Galleria", la collezione dei dipinti, presente all'interno del Palazzo, che passerà poi all'Accademia delle Scienze. In seguito il palazzo diventò sede del Senato Subalpino e del Senato del nuovo Regno d'Italia.

    Nel 1928 il Rotary Club di Torino prese l'iniziativa di un restauro. Venne ceduto al Comune di Torino come sede ufficiale per le cerimonie, con l'impegno di effettuare un restauro. Nel 1934 il Museo Civico d'Arte Antica venne trasferito a Palazzo Madama all'interno del quale possiamo trovare mosaici, miniature, sculture e intagli, smalti, avori, porcellane, maioliche, vetri e vetrate, mobili, ori e argenti, bronzi e bronzetti, cuoi e legature, medaglieri, dipinti di pittori piemontesi. Tra questi ultimi i maggiori esponenti sono: Antonio Vivarini con la "Incoronazione della Vergine"; Giacomo Jacquèrio con la "Crocifissione"; Antonello da Messina con il "Ritratto d'ignoto"; Martino Spanzotti con l' "Adorazione del bambino"; Defendente Ferrari, autore di circa venticinque pitture. Attualmente il Palazzo e il Museo Civico d'Arte Antica sono in fase di restauro.

Palazzo Madama è la prima residenza di corte costruita a Torino in dimensioni maestose per dar forma all’immagine del nuovo status di capitale del regno. Nella dedica a Madama Reale, l’architetto dichiara l’intenzione del suo progetto: quella di dare un volto regale alle residenze dei sovrani sabaudi, "con questa magnifica scala e facciata in ornamento della vostra reggia abitazione".

    La facciata del palazzo torinese è ornata da grandi colonne completamente libere soltanto nella zona centrale, poste su una sorta di basamento. E’ decorata con buon gusto, forse fin troppo ricco, ma di grande ingegno. Divisa verticalmente in due livelli principali, la facciata di Palazzo Madama è gerarchicamente articolata nella larghezza in tre settori di tre campate.

    Il primo livello in altezza costituisce un basamento possente e non troppo elevato, che da slancio alla struttura aperta dell’ordine gigante superiore. Il disegno del basamento supera l’altezza di otto metri ed è costituito da fasce orizzontali a bugnato con sintetici capitelli e una cornice poco sporgente.

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    Per il secondo livello, slanciato in altezza per quasi diciassette metri, Juvarra sceglie l’ordine composito (ionico e corinzio) nella forma gigante. Lesene, pilastri e colonne sostengono direttamente un ricco ed elaborato cornicione architravato con una fitta sequenza di mensole. Fa da coronamento alla facciata un alto attico balaustrato ornato di urne e statue allusive alle virtù sovrane. Nelle due zone laterali l’ordine gigante include grandi finestre ad arcate sormontate da un finto piano mezzanino con finestre di forma rettangolare. Nell’avancorpo centrale l’ordine è invece liberato da ogni elemento di mediazione: le quattro colonne si innalzano tra i grandi vuoti aperti a tutt’altezza, solamente protetti da superfici vetrate.

    La facciata racchiude un grande scalone con rampe simmetriche che si innalzano lateralmente all’atrio per ricongiungersi al centro e portare al salone. Lo scalone possiede particolari ornamenti molto ingegnosi accanto ad altri che rendono l’architettura fin troppo tormentata. Lo scalone è una grande loggia-galleria completamente aperta e traforata su tre lati. Entrati nella zona dell’atrio si può notare la volta sollevata su quattro esilissime colonne doriche isolate, dalle quali si gonfiano vele senza peso. L’atrio si apre sull’unico immenso spazio aereo dello scalone, che dal piano di terra alla volta raggiunge l’altezza di 24 metri.

    Due rampe simmetriche si innalzano dal centro verso le estremità. Dal piano di riposo, al livello intermedio, il cammino delle scale si inverte: una seconda coppia di rampe addossate alla parete della facciata ascende al piano nobile ricongiungendosi al centro verso il grande salone del Castello.

    Lo scalone, tra i più grandiosi d’Europa, è rischiarato a giorno dall’onda di luce, che gioca un ruolo importantissimo ed è libera di passare attraverso le grandi aperture della nuova facciata. L’interno dello scalone è trattato come una virtuale scenografia, costruita per suggerire una dilatazione oltre i limiti ristretti dello spazio entro cui è costruito. Lo scalone è studiato in funzione di un percorso in movimento, della molteplicità degli scorci e delle vedute, dei continui rimandi tra l’interno e l’esterno.

    Lo spazio dello scalone acquista il più alto valore simbolico per la vita cerimoniale del Palazzo. La vista verso la Piazza dalle balconate del Palazzo è la scena ideale per la rappresentazione del mondo privilegiato del sovrano allo spazio pubblico della città, e così sarà adoperato dalla dinastia sabauda nelle occasioni festive e per le cerimonie pubbliche delle ostensioni della Santa Sindone. Nel cerimoniale della corte sabauda, l’atrio-scalone-facciata di Palazzo Madama è sempre stato il luogo privilegiato dell’accoglienza e della festa.

    Davanti al Castello, la statua dell’Alfiere dell’Esercito Sardo, opera di Vincenzo Vela che i Milanesi regalarono a Torino nel 1857.

    Poco lontana la Piazzetta Reale, delimitata verso Piazza Castello dalla bellissima cancellata, disegnata dal bolognese Pelagio Palagi. Essa è situata nel luogo dove sorgeva il Padiglione Reale, eretto nel 1662 e utilizzato più volte per l'ostensione della Sindone. La cancellata rappresenta una serie di lance e riporta su ogni colonna il nome del committente Carlo Alberto e gli scudi dei Savoia.

    Il passaggio verso Piazza Castello è delimitato da una coppia di grandi pilastri in marmo che sorreggono i Dioscuri (le due statue equestri dalle pure linee neoclassiche), Castore e Polluce (i due gemelli di mitologica memoria che rappresentano il giorno e la notte), opera di Abbondio Sangiorgio.

    Al tempo di Torino medievale sorgeva tra le Porte Palatine e Palazzo Madama, il "Palazzo del vescovo" residenza di Emanuele Filiberto durante la sua permanenza nella capitale. Successivamente fu eretto il "Palazzo S. Giovanni", così detto per la sua vicinanza alla cattedrale. L'edificio, indipendente dal "Palazzo del vescovo", riccamente decorato nei suoi ambienti, era dotato anche di un museo che ospitava famose opere d'arte, fra cui dipinti di Raffaello e di Tiziano.

    Si noti che fin dalla fine del '400, una galleria univa Palazzo Madama al Palazzo del vescovo. Carlo Emanuele I la fece splendidamente decorare e vi collocò le sue collezioni artistiche. Ma la galleria non ebbe che mezzo secolo di vita poiché un incendio la distrusse. Il "Palazzo di S. Giovanni" fu danneggiato da incendi e Madama Reale Cristina di Francia, reggente nella minorità di Carlo Emanuele II, decise la costruzione di una nuova reggia, quella attuale, cui Amedeo di Castellamonte diede il disegno della facciata, semplice ed uniforme.

    Il "Palazzo Nuovo", l’attuale Palazzo Reale, incorporò varie parti dell'antico Palazzo del vescovo. La sua costruzione fu lenta ed il completamento avvenne sotto Carlo Emanuele III. Per due secoli il Palazzo Reale fu continuamente abbellito, grazie al contributo di architetti di Corte, da Amedeo di Castellamonte a Filippo Juvarra, schiere di pittori piemontesi e stranieri, i quali crearono molti ambienti sfarzosi, facendo del palazzo una delle più sontuose regge d'Europa.

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    Durante il periodo dell'occupazione straniera seguita alla Rivoluzione francese, gli ambienti che costituivano la più splendida testimonianza del Barocco e del Rococò in Piemonte, furono a lungo trascurati. Fortunatamente in seguito si attuò una grande impresa di restauro, completata con la riapertura di molte sale.

    Appiattita per anni da una monotona colorazione gialla, la facciata del Palazzo ha ritrovato oggi, grazie ad accurato restauro, la luminosità dei suoi colori antichi. La ricoloritura ha posto in maggiore evidenza le sobrie decorazioni, infatti l'edificio si presenta con una facciata affiancata da due corpi laterali più alti e leggermente sporgenti sulla parte centrale. E' visibile una successione ritmica di ampie finestre che danno luce e alleggeriscono il rigore militare e severo di questo esempio tipico del Barocco torinese.

    Verticalmente la facciata è nettamente divisa da un cornicione molto evidente tra il 1° e 2° piano (ovvero il II e III ordine), i più importanti della costruzione, sottolineati da un'altezza maggiore e che corrispondono agli ambienti di rappresentanza ed alle sale da letto. Interessante è la decorazione del III ordine (2° piano) ottenuta mediante timpani e lunette alternati, ripetuti anche nel V ordine dei due corpi laterali.

    Oggi il Palazzo Reale è il più vasto museo torinese che rispecchi i caratteri della decorazione e dell'arredo dalla metà del '600 alla metà dell'800.

    L'interno del Palazzo racchiude meraviglie particolari. Ai piedi dello scalone si può notare un singolare monumento: la prima statua equestre di cui si sia ornata Torino, opera di Francesco Duprè, popolarmente chiamata il "cavallo di marmo"; eseguita per ordine di Carlo Emanuele I. Inizialmente doveva rappresentare Emanuele Filiberto ma successivamente il progetto fu modificato ed infine il personaggio rappresentato fu Vittorio Amedeo I, nipote di Emanuele Filiberto.

    Notevole anche la statua di Carlo Alberto, vicino allo scalone ottocentesco. Grandiosi e fastosi gli ambienti del primo piano comprendenti varie sale destinate a diverse funzioni, in parte visitabili: il salone degli Svizzeri, del Trono, il Gabinetto Cinese (composto da lacche antiche e altre dipinte da Pietro Massa), la Camera di Carlo Alberto, la Camera della Regina con stupendi mobili di Pietro Piffetti e vasellame pregiato.

    Gli ambienti del secondo piano, esclusi di solito alla visita, contengono pitture decorative. Nel Palazzo è soprattutto ammirevole, dal primo al secondo piano, la leggiadra "Scala delle Forbici" di Filippo Juvarra, con ironica allusione alle aristocratiche "male-lingue".

    E' racchiusa nell'edificio anche la ricchissima Armeria Reale (Piazza Castello, 191), istituita da Carlo Alberto, e comprendente una stupenda serie di armature complete, di gran pregio, antiche e moderne. L’Armeria Reale espone armi da taglio e da fuoco, armature delle maggiori firme italiane ed Europee dal XIII secolo all’ottocento, con particolare rilievo al Cinquecento e Seicento e alle armi Sabaude. Vi si aggiunge una raccolta di 250 antiche bandiere.

    Sotto il finestrone dell'Armeria Reale, verso Piazza Castello, una targa ricorda il luogo nel quale Carlo Alberto proclamò lo Statuto (4 marzo 1848). Sotto i portici, lungo l'edificio delle Segreterie di Stato, collocato su un lato di Palazzo Reale, sono state murate numerose lapidi che ricordano i vari avvenimenti storici accaduti durante la I Guerra mondiale.

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Parte dell'edificio è anche la Biblioteca Reale : uno dei luoghi celebri del patrimonio culturale e artistico torinese, raggiungibile dal portico. La Biblioteca è accessibile solo agli studiosi e le sue collezioni ne fanno un museo ideale, la cui punta di diamante sono i tredici fogli di disegni di Leonardo fra i quali il celebre "Autoritratto" e il non meno celebre Angelo per la "Vergine delle Rocce". La collezione, nota fra gli studiosi, è composta da duemila disegni delle maggiori scuole di pittura italiane e straniere, provenienti dalla eccezionale raccolta di un tal Giovanni Volpato, diventato antiquario collezionista e che aveva dedicato venti anni alla ricerca di disegni antichi da un capo all’altro dell’Europa.

    La Biblioteca Reale è diventata nel tempo un grande e splendido archivio di quanto la sapienza e l’arte hanno affidato alla carta. Dalla fine del 1998, i disegni di Leonardo ed il "Codice del Volo degli Uccelli" sono visibili al pubblico una volta l’anno.

    Alle spalle degli edifici regi si possono osservare i Giardini di Palazzo Reale, i quali li separano dall’antica cerchia di fortificazioni. Sono rimasti soltanto due dei quattordici bastioni che la componevano. Il disegno è del 1697 ed è opera di André Le Nôtre, uno dei più famosi architetti "verdi" del Seicento, a cui si devono anche i disegni dei giardini di Versailles, Chantilly, Saint-Cloud, Fontainebleau, Les Tuileries e Racconigi. Sono costituiti da vialetti attorniati da aiuole verdi e dalla "Fontana delle Nereidi con i Tritoni", progettata da Martinez (nipote dell'architetto Juvarra).

    Sul lato orientale di Piazza Castello sorge il Teatro Regio  (Piazza Castello, 215), caratterizzato da una facciata in laterizio. Prima della sua edificazione, affidata a Benedetto Alfieri, i sovrani sabaudi assistevano agli spettacoli in un teatro allestito nel loro palazzo.

    La costruzione di un teatro più grande e prestigioso ebbe inizio nell'aprile del 1738 con l'abbattimento di alcune casupole esistenti sul luogo dove sarebbe sorto. Benedetto Alfieri modificò il progetto juvarriano, abbandonando la forma a ferro di cavallo e ideando una pianta ovale. Il progetto fu molto accurato, nell'ottobre del 1739 fu collocato il tetto e successivamente si compirono le rifiniture e le decorazioni. All'inaugurazione fu recitato l' "Arsace" del Metastasio, i festeggiamenti ebbero molta risonanza ed il teatro fu definito il migliore d'Europa grazie alla capienza di 2.500 posti, agli affreschi sulle volte e alle scenografie.

    Il sovrano poteva raggiungere il palco reale percorrendo, dal suo palazzo, la galleria dell'Armeria ed il lungo corridoio appositamente creato al primo piano delle Segreterie.

    Nel 1794 gli eventi bellici posero fine alle recite e il teatro divenne uno squallido magazzino militare, per riprendere le sue funzioni all'epoca di Napoleone Bonaparte come teatro imperiale. Durante il regno di Carlo Alberto, approfonditi restauri affidati a Pelagio Palagi stravolsero il barocco della sala alfieriana adeguandola all'imperante gusto neoclassico.

    Altri interventi di restauro si susseguirono fino al 9 febbraio del 1936, quando un furioso incendio distrusse il Regio. La seconda guerra mondiale bloccò la sua rinascita fino al 1965 quando fu approvato il progetto dell'architetto CarloMollino e dell'ingegner Rossi, i quali, mantenendo l'antica facciata su Piazza Castello, ricostruirono in modo modernissimo tutte le parti interne del teatro. Nell'inaugurazione del 1973, ascensori, scale mobili, passerelle aeree ed il modernissimo foyer furono ammirati da 1.800 spettatori.

    L'ingresso del Regio è separato dai portici verso Piazza Castello da una vasta area coperta utilizzata impropriamente come pista per gli skate-boards, ed ora chiusa da una moderna cancellata dello scultore Mastroianni dal titolo "Odissea musicale". Sugli altri lati il teatro presenta linee sinuose con estese superfici di vetrate e di mattoni a vista.

    Sotto la grande sala, ne è stata costruita una più piccola, capace di contenere 400 posti. Essa è denominata il "Piccolo Regio" , che accoglie spettacoli di tipo meno rappresentativo delle opere presentate nella grande sala superiore.

    L’Archivio di Stato si trova in Piazza Castello, 209. Fu progettato da Filippo Juvarra ed è uno dei pochi in Europa costruito da subito con la destinazione di raccogliere i documenti dello stato. Fu realizzato tra il 1731 ed il 1734 e gli ambienti costruiti sono ancora in uso ai giorni nostri (anche se ci sono state delle ristrutturazioni sono stati rispettati i disegni originali dei lavori).

    La facciata che dà sulla piazza interna è una delle più belle di Torino. L’Archivio è diviso in due sezioni: la Sezione in Piazza Castello 209 e le Sezioni Riunite, in via Piave 21, ospitate nell’ex ospedale S. Luigi. In queste due sedi sono documentati circa 1300 anni di storia, attraverso atti, quasi 400 manoscritti, quindicimila volumi raggruppati in una biblioteca, trattati, etc… divisi in 700.000 "unità archivistiche". La testimonianza più antica è del 726. Data l’importanza dei documenti cartacei conservati, l’Archivio di Stato è stato dotato di un impianto anti-incendio all’avanguardia.

    La Chiesa di S. Lorenzo  è situata sul lato ovest di piazza Castello ed è contigua alla Piazzetta Reale. La sua costruzione è nata da un voto di Emanuele Filiberto per la vittoria di S. Quintino, il 10 agosto, il giorno di S. Lorenzo, del 1557. Tornato a Torino il re impossibilitato ad erigere in città una nuova Chiesa in onore del Santo, dispose che gli fosse intitolato l’altare di un edificio già esistente. La scelta cadde su "Santa Maria del Presepe" una chiesetta fatiscente che oggi è il vestibolo del San Lorenzo.

    La chiesa è occultata dietro una modesta facciata di Palazzo ed è una delle opere più importanti e suggestive del Barocco torinese. Guarino Guarini, architetto e matematico che ne realizza il progetto, ebbe la geniale idea di creare una Cupola ottagonale a pareti concave, per conferire alla struttura una luminosità senza precedenti. La lanterna invece forma un contrasto in quanto circolare.

    All'interno, al di là dell'atrio rettangolare, che conserva un prezioso organo antico, si apre la sfarzosa aula ad andamento centrale della chiesa, ricca di decorazioni, marmi policromi, fantasiose colonne, legno dorati, statue, cornicioni, sporgenze e rientranze di linee sinuose. Alzando gli occhi alla cupola si può godere dell'essenzialità e della linearità dell'impostazione dell'organismo architettonico. Sedici agili costolonisi intrecciano elegantemente, a costituire un'enorme stella o fiore, entro il quale si aprono al centro gli archi dei petali, pentagoni decorativi e finestre ad occhio ellissoidale.

    In Piazza Castello 18 troviamo la lapide di Benedetto Carpano che a fine ‘700 inventò il vermut, venduto fin dal 1916, col marchio Punt e Mes nel caffè liquoreria Merendazzo, frequentato da Vittorio Emanuele II , Garibaldi e molti personaggi della politica.

    Dal sottoportico a sinistra del Palazzo Reale e, dopo esser giunti in Piazza S. Giovanni, a sinistra, al n. 2, si può osservare la facciata in cotto del Palazzo dei Duchi del Chiablese: opera di Benedetto Alfieri degli anni fra il 1736 e il 1740, ospita, nei raffinati interni, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici. Al pianterreno c’era, negli anni scorsi, il Museo del Cinema , ora in attesa di sistemazione nella restaurata Mole Antonelliana.

    Sulla destra della Piazza possiamo ammirare il Duomo, costruito nel 1491-98, che presenta una facciata che ricorda quella di Santa Maria del Popolo a Roma, attribuito al toscano Meo del Caprina. L’edificio sacro è l’unico esempio rinascimentale nella città, ed è in marmo bianco con tre portali di gusto toscano.

    Lo spazio per il nuovo Duomo venne ottenuto con la demolizione di tre chiese congiunte: da nord a sud S. Salvatore, S. Giovanni Battista e Santa Maria de Dompno.

    Sulla sinistra del Duomo, staccato di qualche metro, sorge il poderoso campanile, eretto trent'anni prima della cattedrale in forme massicce e arcaiche, sul quale Juvarra innesterà nel 1720 un nuovo tronco sommitale non completato.

    Nella seconda metà del ‘600 l'abside dell'antico Duomo verrà sostituita da Guarino Guarini con la prodigiosa Cappella della Sindone, collegata a Palazzo Reale.

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    Si accede al Duomo mediante un'ampia scalinata ad andamento convesso che racchiude un largo sagrato. Al di sopra si erge la mole della costruzione con facciata luminosa in marmo bianco. L'andamento delle linee ricorda gli edifici dell'Alberti e della sua S. M. Novella in Firenze.

    Notiamo una suddivisione in due ordini raccordati da due grandi volute. Nella zona inferiore quattro coppie di lesene inquadrano i tre raffinati portali, decorati da fregi scolpiti e figure di angeli dello stesso Meo de Caprina.

    Al di sopra dei due portali laterali è impostato un timpano triangolare, mentre quello centrale è inquadrato da un cornicione aggettante. La lunetta posta al di sopra delle belle porte è definita da un arco decorato, dalla prospettiva illusoria. Nella zona superiore sono evidenti due bifore che sembrano più profonde di quanto realmente siano. L'intera facciata è coronata da un timpano dentellato che slancia moderatamente la costruzione.

    L’interno è a tre navate, di semplici e severe linee, ad ampiezza molto differenziata; la centrale misura m9,50 e quella laterale m5,80, divise da colonne a fascio che impongono un ritmo preciso e sicuro all'impianto.

    Accanto all'ingresso sono da notare le pietre tombali, le sculture funerarie, alcuni rilievi derivati dalla primitiva basilica e la statua quattrocentesca di Giovanna d’Orliè.

    Nella seconda cappella di destra si trova, sull’altare, la pala di Martino Spanzotti, attorniata dalle piccole 18 storie.

    Nella navata di sinistra la seconda cappella accoglie una pala attribuita a Carlo Claudio Duphin, mentre quelle della quarta e quinta sono di Bartolomeo Caravoglia.

    Da notare, nel braccio destro del transetto, la Cappella del Crocifisso con bellissime statue marmoree e lignee. Di fronte, nel braccio sinistro, vi è la tribuna reale costruita dal Martinez nel 1777 che conserva fotografie e documenti sulla Santa Sindone e a cui si accede direttamente da un’ala interna del Palazzo Reale.

    L’altare maggiore è dei fratelli Collino. Nella sacrestia vi sono vari dipinti della scuola piemontese del ‘500.

    A lato del presbiterio si sale alla Cappella della Sindone, tutta rivestita di marmi neri; la parte più interessante è la cupola, che vista dall'interno appare sorretta da sei ordini di archetti sottesi, soprammessi e sfalsati, progressivamente più stretti dal basso verso l'alto, fino a racchiudere al vertice un cerchio, sopra il quale è la lanterna. La posizione, lo slancio, il rapporto reciproco di questi archetti, il loro accavallarsi senza posa determinano un effetto dinamico.

    All'esterno la cupola, che si arricchisce, fra i costoloni, di un altro complesso intreccio di archetti, culmina in un'alta guglia memore del Borromini.

    La Sindone (dal greco Sindón, "tela di lino") era un drappo di lino nel quale gli ebrei usavano avvolgere i cadaveri prima di deporli nella tomba. Quella conservata a Torino (proprietà dei Savoia fin dal 1453 e dal 1983 dei pontefici per volontà testamentaria di Umberto II) è un telo di lino di m4,36 per m1,10, sul quale è impressa la doppia immagine, frontale e dorsale, di un corpo umano. Secondo la tradizione, accreditata da studi scientifici recenti, si tratterebbe del lenzuolo funebre di Gesù Cristo.

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    La Sindone viene esposta al pubblico in rare circostanze e la devozione e gli studi di cui è oggetto sono documentati nel Museo della Sindone  (via S. Domenico, 28). Il Museo offre al visitatore un allestimento che, seguendo un percorso corredato di stazioni interattive e sistemi multimediali, presenta reperti suggestivi, oggetti di culto e i risultati di ricerche sperimentali sulla Sindone, in modo da fornire l' informazione più completa possibile sui vari aspetti che essa comporta (storici, scientifici, artistici).

    La cappella della Sindone è stata gravemente danneggiata da un incendio (1997) e le fiamme, alimentate da un forte vento, hanno infranto le vetrate, distrutto arredi di altissimo valore artistico e compromesso parzialmente la stabilità della struttura. E’ stato quindi avviato un accurato restauro per recuperare le forme originarie. I restauri riguarderanno l'altare progettato da Antonio Bertola nel 1694 per contenere il forziere della Sindone. Il pregevole monumento posto al centro della cappella, pavimentata da marmi intarsiati con stelle d'ottone, ha un ricco apparato decorativo, che richiederà interventi accuratissimi. Ulteriori consolidamenti e ripristini verranno eseguiti sulla cupola del Guarini, di stupefacente bellezza, definita da Marziano Bernardi "una delle più geniali costruzioni barocche d'Europa".

    Vicino al Duomo notiamo quel che resta del Teatro Romano, anche se una parte è nascosta nei sotterranei del Palazzo Reale. Esso è a forma semicircolare. L’edificio, la cui fase originaria è all’incirca databile tra il 13 e il 44 a.C, era dotato di un porticato e di adiacenti edifici di servizio che ebbero nel tempo vari ampliamenti e ristrutturazioni.

La parte che era destinata ad ospitare il coro era detta "orchestra"; attorno c'era la "cavea" con gradini, che aveva un diametro di 120m e una larghezza di 25m. Di fronte alla cavea, sorgeva il palcoscenico detto: "pulpitum", riconoscibile dall’insieme di resti murari a pianta rettangolare. Alle spalle del "pulpitum" si elevavano due strutture importanti, andate perdute: la "scaena", una muratura che sosteneva gli scenari, abbellita da una nicchia con statue e il "porticus post-scaenam", che era un’area di ritrovo. Il teatro ebbe un’importanza notevole: esso fu in parte distrutto, in epoca medievale e quattrocentesca, per la costruzione del Duomo.

    Ai lati delle Porte Palatine si conservano alcuni tratti di mura dalle interessanti caratteristiche costruttive, costituite da ciottoli, legati con una malta e intervallati da due file di mattoni. I mattoni avevano la capacità di assorbire meglio gli urti degli eventuali attaccanti. Nelle costruzioni romane questo tipo di lavorazione costituiva l' "opus mixtum", che univa le caratteristiche dell' "opus incertum", costituito da pietre di forma irregolare, e quelle dell' "opus latericium", costituito da file di mattoni.

    Poiché le mura sono parzialmente distrutte, si può rilevare bene il sistema costruttivo romano che, impostati due muri a distanza di circa un metro l'uno dall'altro, usava colare tra i due elementi un impasto di "coementum", pietre, pezzi di anfora e pozzolana, per dare consistenza all'intero sistema murario. Inoltre la cortina muraria era intervallata, a distanze regolari, da torri rotonde, di cui si notano i resti del basamento accanto alle mura, a presidio della cittadina romana.

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    In Piazza Cesare Augusto si trova uno dei monumenti romani più importanti d'Europa: la Porta Principalis Sinistra, detta Porta Palatina. Essa rappresenta l'entrata settentrionale della città di Augusta Taurinorum; attraverso la Porta Palatina entrava in città chi arrivava dalla Pianura Padana. L'edificio nel Settecento ebbe la funzione di ospitare un carcere e corse il rischio di essere abbattuto, perché l'antico ingresso urbano che l'attraversava era stato sostituito dalla porta di S. Michele (e poi della Vittoria) sull'asse dell'attuale via Milano. L'opera divenne sempre più fatiscente, finché, a partire dal secolo scorso, ci fu una ripetuta serie di restauri ad opera dell'architetto Carlo Promis che liberò le vestigia romane dalle sovrapposizioni architettoniche successive.

    L'edificio è caratterizzato da due torri alte ventiquattro metri, il cui interturrio è costituito da un muro imponente nel quale si aprono quattro passaggi detti fornici. I due centrali, più larghi e alti, servivano per il transito dei carri, quelli laterali erano utilizzati dai pedoni. Nello spessore dei muri delle quattro aperture sono ben visibili le scanalature lungo le quali venivano fatte scendere le saracinesche per un'inviolabile chiusura in caso di attacco.

    L'interturrio presenta due file di finestre che servivano per dare aria e luce alla "statio", la costruzione dove soggiornavano le guardie, eretta verso la città. La presenza della "statio" è testimoniata dai basamenti di muri visibili nella zona che divide le due statue di Giulio Cesare e Cesare Augusto, copiate da modelli romani e collocate nel 1934.

    Anticamente l'edificio racchiudeva un cortile centrale, detto "cavaedium", delimitato da due porticati e da una facciata. Nel "cavaedium" avvenivano i severi controlli delle persone e dei carichi che entravano ed uscivano dalla città.

    Il monumento appare in tutta la sua bellezza verso Corso Regina Margherita. Il colore dei laterizi è valorizzato dal verde della zona che circonda la Porta. Le torri svettanti, di sedici lati, sono raccordate alle fondazioni quadrate con una sapiente disposizione piramidale dei mattoni.

    Private della merlatura medievale a coda di rondine, hanno mantenuto le troniere in marmo, del Cinquecento, utilizzate per sparare con i moschetti. Esse si distinguono chiaramente per la caratteristica imboccatura cilindrica e per il loro colore biancastro. La facciata è scandita, tra le finestre, da eleganti lesene e presenta, sopra i fornici, una fascia di pietra grigia, priva dell'iscrizione dedicatoria presente in altri esempi di porte romane.

    Secondo un’antichissima tradizione nelle Torri Palatine soggiornò il poeta Ovidio e si sarebbe riposato nientemeno che Ponzio Pilato.

    Se si prosegue a destra per Corso Regina Margherita si raggiunge l'ingresso al Museo di Antichità  (via XX Settembre, 88C), cui si accede attualmente proprio da Corso Regina Margherita. Esso nasce dalle collezioni sabaude cheEmanuele Filiberto aveva iniziato nel Cinquecento e Carlo Emanuele I aveva portato a grande splendore nella prima metà del Seicento.

    L’acquisto della collezione egizia di Bernardo Drovetti determinò un tale aumento del patrimonio da imporre il trasferimento di tali reperti nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Nel 1989 fu realizzata la sistemazione delle collezioni d'antichità nei fabbricati delle antiche Serre di Palazzo Reale, trasformate negli interni con innovativo progetto museale degli architetti Gabetti ed Isola.

    Nella primavera del 1998 la superficie espositiva è raddoppiata grazie al completamento di un nuovo singolare padiglione che appena affiora dalla superficie del giardino, nel quale viene ricostruito il ritratto del Piemonte archeologico.

    Di notevole interesse sono le ceramiche di epoca medioevale: oggetti d’uso quotidiano, provenienti da diverse città piemontesi. Al periodo longobardo risalgono gli eccezionali reperti di Lingotto, Carignano e Borgo d’Ale. Recenti ritrovamenti testimoniano anche la presenza degli Etruschi in Piemonte.

    Il punto focale dell’intero padiglione "piemontese" è tuttavia costituito dal famoso tesoro di Marengo: un insieme di reperti d’argento, che qualcuno seppellì per occultare un illecito bottino. I restauri hanno restituito splendore a questo tesoro, nel quale è ammirevole, fra l’altro, un busto in argento dell’imperatore Lucio Vero.

    Nel padiglione delle collezioni, spiccano le sculture e le ceramiche della collezione Cipriota, le raccolte preistoriche, le testimonianze della cultura Etrusca, i vasi Greci di elevato livello artistico, i ritratti, i numerosi e bellissimi vetri di epoca romana. Un reperto singolare è il trono di Luni, che venne trovato nel secolo scorso.

    Ritorniamo sui nostri passi e passando per via Porta Palatina (chiamata in passato via dei Cappellai e al cui n.11, dove c’era l’Ospizio dei Catecumeni, aveva abitato Rousseau) si raggiunge via IV Marzo. Qui incontriamo Casa del Pingone, edificio cinquecentesco e Casa Broglia, d’origine trecentesca ed attualmente d’aspetto quattro-cinquecentesco. Presenta finestre in cotto di stile guelfo ed arcate a sesto ribassato.

    In largo IV Marzo è situata la Casa del Senato (n. 15). Il suo ingresso è formato da blocchi romani: si trattava forse di un palazzo dei duchi Longobardi. Vi sono finestre a crociera del XV secolo e un’antica finestra gotica.

    In via della Basilica una lapide ricorda il soggiorno di Torquato Tasso.

    Di qui raggiungiamo la Piazza del Palazzo di Città, l’antica Piazza delle Erbe, che offre la visione di una classica scenografia architettonica torinese del Settecento: rigorosamente unitaria, severa ma armoniosa, concepita come fondale coerente all’edificio predominante. I palazzi porticati furono eretti da Benedetto Alfieri a partire dal 1756.

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    Al centro della piazza c’è una statua che ritrae Amedeo VI, detto il Conte Verde. Quest’ultimo fu rappresentato in bronzo da Pelagio Palagi nell’atto di abbassare un fendente su un infedele abbattuto durante una crociata nel Trecento. Il monumento venne inaugurato nel 1853, anche se fin dal 1848 Carlo Alberto lo aveva donato al Municipio.

    Il Palazzo di Città, situato in via Milano 1, fu costruito tra il 1659 ed il 1663 secondo il progetto di Francesco Lanfranchi, noto architetto torinese. L’Alfieri aggiunse due ali laterali alla facciata e Barberis creò due cortili interni estendendo l’edificio in profondità (i due cortili furono chiamati "Burro" e "Griota" che in piemontese indica la visciola, un tipo di ciliegia di sapore acidulo).

    Gli interni del palazzo esprimono l’arte piemontese dal ‘600 all’800. Un esempio è lo scalone d’onore affrescato nel 1823. Lo studio del sindaco presenta nel soffitto affreschi del Dauphin ed un fregio, del Casella e del Recchi, che rappresenta sulle pareti scene del Corpus Domini (questo fregio fece chiamare questa stanza: "Stanza del miracolo"). Dietro la tribuna del sindaco richiama l’attenzione il grande ritratto di Carlo Alberto.

    L’interno del palazzo è adorno di molte statue, che rappresentano i vari principi e monarchi sabaudi, tra i quali vediamo Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II.

    Al numero 19, una lapide ricorda che qui, nella casa dalla volta rossa, S. Giuseppe Cottolengo iniziò la sua opera a favore degli ammalati poveri nel 1828.

    In via Palazzo di Città, al n. 20, possiamo visitare la Chiesa del Corpus Domini. La Chiesa ha una storia curiosa. Intorno al 1450 successe, in questo luogo, un avvenimento che ha del miracoloso: un mulo stracarico, trascinato da un forestiero, s'impuntò e non volle più saperne di avanzare, rovesciò il bagaglio e i passanti ne videro uscire un ostensorio che rimase sospeso a mezz'aria. In onore di tale prodigio, venne eretta sul posto una cappella votiva, del Sanmicheli.

    Un secolo e mezzo dopo, nel 1598, durante l'infuriare di un'epidemia di peste, la cittadinanza promise di costruire sul luogo del miracolo una grande chiesa se il flagello si fosse allontanato, e dopo questo secondo "miracolo" la Municipalità affidò l'incarico all'architetto Ascanio Vitozzi che eliminò la preesistente cappella, (ma indicò con un recinto il luogo preciso del prodigio) e vi fece costruire la chiesa del Corpus Domini.

    All'interno il tempio è stato ancora abbellito da Benedetto Alfieri a metà '700; il prodigio del 1453 è raffigurato in un dipinto di Bartolomeo Caravoglia al grandioso altare maggiore, che fu disegnato da Francesco Lanfranchi. Una bella statua di Davide Calandra ricorda un altro straordinario disegno divino: la statua è quella del canonico Giuseppe Cottolengo che qui, secondo la tradizione, fu ispirato a realizzare la sua opera di carità. L'altare ai piedi del quale il sacerdote era solito pregare è quello di San Giuseppe, di Juvarra.

    Nella sacrestia le sovrapporte di Pietro Domenico Olivero, sono un interessante documento di pittura piemontese settecentesca di genere. I confessionali barocchi e la cantoria dorata sono tra le espressioni più rilevanti dell'arte dell'intaglio a Torino in età barocca.

    Dalla Piazza del Municipio vale la pena percorrere via Milano. Al n. 11, "antica isola di S. Domenico", l’edificio è decorato con teste di cani, simbolo dei Domenicani (cani del Signore), al n. 13, "antica isola di S. Ignazio", le teste di toro simboleggiano lo stemma della città, mentre i leoni che si riscontrano al n. 18, "antica isola di Santa Rosa", rappresentano lo stemma di un conte, probabilmente di Gioacchino Faussone, proprietario del palazzo.

    Vicino osserviamo la Basilica Mauriziana: risale al 1679 e fu costruita nell’attuale via Milano (al n. 20), sull’area di una precedente chiesa dedicata a S. Paolo, dall’architetto Antonio Bettino. L’altare eretto da Antonio Bertola nel 1703 è ornato da quattro statue in legno dorato raffiguranti i dottori della Chiesa. Vi si trovano dipinti ottocenteschi di Francesco Gonin, dei Morgari e di Domenico Ferri; la sacrestia conserva mobili intagliati barocchi. La facciata e cupola neoclassiche sono dell’architetto Carlo Mosca.

    La Chiesa di Santa Chiara (via delle Orfane, 15) è opera di Bernardo Vittone intorno alla metà del sec.XVIII.

    In via San Domenico angolo via Milano, ribassato e arretrato rispetto al filo stradale, sorge uno dei pochissimi edifici medievali sopravvissuti a Torino: la chiesa gotica di San Domenico , costruita tra il 1257 e il 1280, che subì anch’essa le conseguenze dell’inesorabile piano regolatore della Torino barocca, a causa del quale, per allargare e rettificare l’allora Contrada d’Italia (ora via Milano), venne tagliata una fetta di 4 metri del tempio, corrispondente a una quarta navata, singolarmente aggiunta alla navata di destra, nel 1351, per ampliare la chiesa.

    La facciata, di rosso cotto a vista, un’aguzza ghimberga che sale al rosone, due contrafforti centrali e due laterali, è coronata da pinnacoli. A sinistra del portale principale venne aperto durante la peste del 1630, un vano con altare verso l’esterno, perché la gente potesse assistere alla Messa senza entrare in chiesa, e un medico, che del flagello fu testimone, narra che talvolta durante le funzioni qualcuno si accasciava e moriva.

    L’edificio presenta una pianta a tre navate ad archi gotici e volte a ogiva; conserva, in fondo alla navata sinistra, un ciclo di affreschi trecenteschi, tra i pochi oggi rimasti in Piemonte, che esaltano il principio domenicano della comunità apostolica, opera di un artista anonimo ma soprannominato "il Maestro di San Domenico" dagli storici dell’arte.

    Nella terza cappella a sinistra un affresco raffigura il Beato Amedeo IX di Savoia: recentemente liberato da pesanti ridipinture, ha rivelato una qualità pittorica così elevata da suggerire l’attribuzione ad Antoine de Lonhy (contemporaneo del Santo, autore della straordinaria "Trinità e angelo piangente" del Museo Civico d’Arte Antica).

    L’altare maggiore è opera del Ferroggio. In fondo alla navata destra, campeggia una grande tela del Guercino, "La Madonna che dona il rosario a San Domenico e a Santa Caterina" (1635 circa), definita in una guida dell’Ottocento "il solo quadro veramente classico che si veda a Torino", incorniciata da sculture lignee del Clemente.

    Sulla sinistra rispetto al Guercino, un dipinto raffigura la battaglia di Lepanto, alla quale partecipò la flotta sabauda, e della quale è conservato lo stendardo nella sacrestia. Qui un grande drappo, ritenuto un tempo vessillo della nave ammiraglia piemontese alla battaglia di Lepanto (1571), raffigura la Sindone e reca gli stemmi marchionali di Torino. Fu donato da Vittorio Amedeo II dopo la battaglia di Torino del 1706.

    San Domenico, cui era collegato il cimitero nella parte retrostante e a lato il Tribunale dell’Inquisizione (ove adesso è la Procura della Repubblica), fu appunto la chiesa dell’Inquisizione, che aveva le sue carceri sull’angolo tra la via omonima e via Bellezia, ma che dimostrò una certa tolleranza e fece assai meno danni che altrove tra eretici, streghe e maghi.

    Sempre nei pressi, in via Santa Chiara 9, la Chiesa di Sant' Agostino. L'esterno è concepito secondo le forme del tardo '500, invece l'interno secondo le forme del '700 inoltrato. Dell’epoca più antica conserva il campanile, sotto il quale avevano sepoltura un tempo i boia di Torino, le cui "vittime" ricevevano gli estremi conforti spirituali dai confratelli della misericordia operanti nella vicina chiesa intitolata a San Giovanni Decollato.

    Tra le opere d'arte una deposizione tedesca del primo Cinquecento, un "San Nicola da Tolentino", tavola attribuita a Martino Spanzotti, una "Assunta" in cui l'architetto di Carlo Emanuele, Lanfranchi, appare nel ruolo del pittore (la tela è firmata e datata 1661), una "Vergine in Gloria" attribuita a Bartolomeo Caravoglia.

    Nelle immediate vicinanze, via Bonelli 2, sorge la casa che fin dal XVI secolo fu del boia e della sua famiglia. Questi venivano sepolti nel campanile della chiesa di S. Agostino, dove si racconta che fino a poco tempo fa c’era un panca personale del boia distaccata da quella degli altri devoti.

    L’incrocio tra via Garibaldi e via Milano segna ancora oggi il punto d’incontro di due delle principali strade della Torino romana: il "decumano massimo" (via Garibaldi) e il più importante "cardo occidentale" (vie Milano e San Francesco d’Assisi).

    Attraversata via Garibaldi, via Milano diventa via San Francesco d'Assisi: qui è da osservare il Palazzo Beccuti, sede dal 1556 al 1720 dell' università di Torino.

    Di fronte, al numero 13, c'è la chiesa di San Rocco (1667), anch'essa in stile barocco, che è di Francesco Lanfranchi ed ebbe la parte anteriore "tagliata" nel 1885 allorchè si ampliò la via e si dovette rifare la facciata più indietro. L'altare maggiore è del Vittone, il gruppo ligneo della crocifissione è del Clemente e San Rocco è del Botto (legno dipinto in aspetto marmoreo). Vi si può ammirare anche una statua trecentesca della Madonna.

    Sempre in via S. Francesco d’Assisi, al n. 11, la Chiesa di S. Francesco d’Assisi. Fu trasformata all’inizio del Seicento da medievale in barocca e fu rielaborata nell’aspetto attuale da Bernardo Vittone nel 1761. E’ caratterizzata dalla presenza di diverse cappelle delle Università, cioè delle corporazioni di arti e mestieri: nel Seicento infatti tali corporazioni vennero a costituire, per Torino, il tessuto normativo e rappresentativo delle attività professionali.

    I Luganesi ebbero cappella in S. Francesco d’Assisi nel 1636 e si adoperarono ad ornarla di stucchi, di affreschi e di una pala raffigurante S. Anna con la Madonna e il Bambino, S. Francesco d’Assisi e Santa Caterina d’Alessandria. Nel 1836 vi furono sistemati i due dipinti laterali di Giuseppe Borra. Nel complesso, le decorazioni di S. Francesco documentano un’ennesima variazione del consueto cantiere artistico sei-settecentesco torinese.

    A questo punto non ci resta che imboccare via Garibaldi. Essa unisce Piazza Statuto a Piazza Castello lungo un tracciato oggi rettilineo lungo più di un chilometro. Il vecchio nome "Dora grossa" deriva da un corso d’acqua deviato dalla Dora che scorreva in mezzo alla via per convogliare le immondizie. Sotto Carlo Felice viene realizzato un canale sotterraneo. Ma maggior peso ha l’editto di Carlo Emanuele III che nel 1736 ordina l’allineamento di Dora grossa.

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    Nel 1978 dopo proteste e polemiche di ogni genere da parte dei commercianti, l’attuale via Garibaldi, chiusa al traffico di auto e tram, diviene isola pedonale. Questa scelta ha trasformato la via in un vero itinerario artistico e architettonico. Le facciate ricche di particolari, decorazioni e rifiniture, sono eleganti e armoniose, con balconi dalle ringhiere in ferro battuto e cornicioni aggraziati e, nonostante la via sia larga soltanto 11 metri, i rapporti di grandezza sono equilibrati e di ampio respiro. La curiosità invita ad entrare nei portoni a osservare i vecchi cortili, per scoprirne le meraviglie e a salire le scalinate ricche di statue, stucchi e affreschi. I palazzi signorili di via Garibaldi risalgono circa alla seconda metà del ‘700. Via Garibaldi è stata la prima via di Torino ad avere i marciapiedi, quando la via era ancora in terra battuta. Ora sono al livello del piano stradale.

    Tre chiese si affacciano direttamente sulla via; in esse sono conservate importanti testimonianze storiche, cominciando dalla Chiesa della SS. Trinità. Essa si trova in via Garibaldi 6. La costruzione fu curata dall’architetto Ascanio Vitozzi che la iniziò alla fine del ‘500. I lavori furono tanto lenti che l’architetto, ormai invecchiato, fece in tempo a morire e ad esservi seppellito prima del loro completamento, che avvenne nel 1661. Nel 1830 fu rifatta la facciata su disegno dell’architetto Morchini.

    La pianta della chiesa è circolare e con le tre cappelle, i tre altari ed i tre coretti esprime la sua simbologia trinitaria. Nel 1731 l’altare maggiore fu rivestito con pietre e marmi da Juvarra.

    Più avanti incontriamo la Chiesa dei Santi Martiri (angolo via Botero), fu disegnata da Pellegrino Tibaldi nel 1577. Il progetto fu concordato da Emanuele Filiberto, come segno di una riconciliazione con il Vaticano da parte dello Stato. Fu, infatti, data in gestione alla Compagnia di Gesù, nata pochi decenni prima col compito di difendere la fede. E’ dedicata a Solutore, Avventore e Ottavio, martiri protettori della città di Torino morti nella persecuzione di Massimiano nel ‘300.

    La facciata è costituita da nicchioni sovrapposti e da un timpano triangolare a cui nel ‘700 si aggiunsero statue dorate in legno. Nel 1706 fu costruita la cupola danneggiata in seguito dai bombardamenti. Nell’altare maggiore è importante ricordare la presenza del dipinto della "Madonna con i tre santi martiri" di Gregorio Guglielmi. Del ‘700 sono anche i due candelabri in bronzo dorato situati ai due lati del presbiterio e la sacrestia. Gli arredi lignei sono di grande importanza artistica.

    La compagnia di San Paolo ha deciso ora di intraprendere dei lavori di ristrutturazione nell’interno decorativo. E' mirabile e raro esempio del gusto manieristico imperante a Torino prima dell’arrivo del Vitozzi.

    Vicino a questa c’è la Cappella dei Mercanti (via Garibaldi, 25), la cappella della Pia congregazione dei Banchieri, Negozianti e Mercanti che è un gioiello del pieno barocco piemontese. La congregazione fu costituita nel 1663. La cappella fu inaugurata nel 1692. Il "Legnanino", il pittore Stefano Maria Legnani, dipinse nella volta il Paradiso con profeti e sibille. In sacrestia è conservata un’affascinante "Adorazione dei Magi" di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. L’insieme, di vibrante ma non enfatica densità espressiva, è omogeneo ed esemplare e costituisce uno dei grandi momenti del barocco torinese.

    La cappella è ospitata nel complesso della casa professa dei Gesuiti, progettata nel 1769 da Bernardo Vittone. L’architetto concepì come raccordo alla cappella e alla chiesa un ampio ed elegante atrio a tre navate su colonne, noto oggi come Cortile degli antichi chiostri. E’ di proprietà del comune che vi propone mostre temporanee.

    L’ultima chiesa di via Garibaldi è quella di S. Dalmazzo, una delle più antiche della città di cui si hanno notizie già dagli inizi del XIII secolo.

    Significativi sono anche la Casa Bertolotti (1791) e il Palazzo Durando di Villa (1736), oggi sede degli Uffici comunali.

    Ad angolo tra via della Misericordia e via Barbaroux incontriamo la Chiesa della Misericordia, precisamente in via Barbaroux 41; fu dedicata a San Giovanni Decollato. Costruita in memoria della Confraternita nel 1578 (che assisteva i condannati a morte) venne ristrutturata nel 1751 da Nicolis di Robilant. Sono presenti all’interno due dipinti: la "Decollazione del Battista" e "L’Addolorata" del Beaumont. L’altare maggiore risale al ‘700 ma la facciata fu perfezionata nel 1828.

    Al termine di via Garibaldi incontriamo Piazza Statuto. Costruita nel 1864 da Giuseppe Bollati, è chiusa su tre lati da edifici porticati che rappresentano il gusto torinese dell’800. La Piazza è ravvivata dal rosso delle lesene e deicornicioni.

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Nel centro vi è un giardino con un singolare e confuso Monumento commemorativo ai Caduti del Traforo del Fréjus (Sommeiller, Grandis e Grattoni), realizzato ai tempi di Cavour e Napoleone III. Il monumento è stato ideato da Luigi Belli ed eseguito dagli allievi dell’Accademia Albertina: raffigura il genio della scienza che scaraventa dalla montagna i Titani.

    Nella parte più larga della Piazza, in un giardinetto modesto, c’è un monumento a forma di obelisco che indica, secondo i calcoli del fisico Cesare Beccaria, il passaggio del 43° parallelo.

    Lasciandoci Piazza Statuto alle spalle, possiamo imboccare Corso San Martino e raggiungere Piazza XVIII Dicembre (Stazione di Porta Susa). Un piccolo monumento del Ceragioli e Biscarra ricorda Ascanio Sobrero, inventore della nitroglicerina.

    Tra via Cernaia e Corso Galileo Ferraris troviamo quanto rimane di una delle più grandi cittadelle dell’Europa del Cinquecento. La Cittadella fu progettata dall’ingegnere Francesco Paciotto nel 1564. La costruzione di questo formidabile strumento di difesa sull’angolo sud-ovest delle mura, fu curata da Emanuele Filiberto.

    Intorno al mastio centrale vi era un sistema difensivo stellare a cinque punte bastionate che copriva un’area estesa tra gli attuali Corso Vittorio Emanuele, Corso Inghilterra, Corso re Umberto e via Garibaldi. Nel sottosuolo si ramificano "Le gallerie di contromina", scavate qualche anno dopo la costruzione della cittadella, per contrastare gli eventuali tentativi degli assedianti di entrare nella città. In una di queste gallerie avvenne l’episodio di Pietro Micca.

    Il sistema delle gallerie è in parte visitabile partendo dal Museo Pietro Micca  (opera di Guido Amoretti e situato in via Guicciardini, 7) il quale espone cimeli, stampe, plastici della cittadella e della città.

    Della cittadella rimane soltanto il mastio che ne costituiva il nucleo. Il mastio fu restaurato nel 1893 e divenne sede del Museo Storico Nazionale d’Artiglieria , che raccoglie armi da fuoco, esemplari di grande rarità. Ricordiamo la grossa bombarda di bronzo collocata davanti all’ingresso.

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    Di fronte al mastio è situato il Monumento a Pietro Micca.

    A poca distanza il Monumento ad Alessandro Lamarmora raffigura il fondatore di uno dei più gloriosi corpi militari nati a Torino, quello dei Bersaglieri.

    In via Stampatori, 4 possiamo il Palazzo Scaglia di Verrua. Per la sua struttura è uno dei pochi palazzi nobiliari del Rinascimento di Torino. Fu costruito nel ‘500 ma fu modificato nel ‘600. Vari elementi risalenti a epoche diverse ne fanno un palazzo che percorse stili e movimenti lungo tutto il panorama artistico torinese. Gli affreschi della facciata e del cortile, sono di difficile datazione.

    Al termine di via Cernaia troviamo Piazza Solferino. Era un tempo mercato della legna. Le case della piazza inquadrano con decoro borghese i due giardini sopraelevati in mezzo ai quali Ferdinando duca di Genova, eroe del Risorgimento, segna con la sciabola l’atto della carica mentre il suo cavallo, ferito, stramazza al suolo. Il monumento fu costruito nel 1877 da Alfonso Balzico.

    Al centro della Piazza il Teatro Alfieri del Panizza, costruito nel 1857 ed usato all’inizio per spettacoli a cavallo.

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    La piazza si chiude verso via Cernaia e via Pietro Micca con la scenografia della "Fontana Angelica" di Giovanni Riva. Il punto migliore per apprezzare l’opera nel suo insieme è l’angolo tra via Pietro Micca e via Botero. Di qui una giusta distanza permette di ammirare l’armonioso disegno architettonico, ispirato ad un sobrio barocco piemontese che stempera il gigantismo dei gruppi bronzei delle quattro stagioni, con la mobilità dei giochi d’acqua.

    Al centro, l’alto pennacchio spumoso ricade mescolandosi ai getti che escono dall’anfora e dall’otre, retti dalle figure maschili dell'Autunno e dell'Inverno: la cascata d’acqua brilla di mille riflessi e forma un polverio turbinoso attraverso il quale s’intravede, distante ed evanescente, la Statua del Duca di Genova nell’atto di abbandonare il destriero morente sul campo di battaglia. I ventagli laterali, a cui gli anni hanno tolto l’uniformità dei getti, chiudono garbatamente la composizione.

    Avvicinandosi alla cornice di granito della vasca ellittica, si legge la dedica scolpita nel 1928 in memoria dei genitori del Bajnotti, ministro plenipotenziario, che lasciò metà della sua cospicua fortuna in eredità alla Città di Torino, la quale, nel 1919, assunse l'impegno di costruire una fontana dedicata ai genitori dello scomparso.

    Poi lo sguardo sale alla vasca superiore più piccola e indugia sulle statue che, seppure proporzionate, mostrano una certa pesantezza di linee. A sinistra sorge la più bella, la Primavera. La figura femminile guarda con tenerezza un nido di uccellini posato sul suo ginocchio ed avvia alla corsa un putto, che alza le braccia liberando un festoso volo di rondini. Simmetricamente, sul lato destro della fontana, siede l’Estate: una donna giunonica e dall’espressione materna che regge, con le braccia robuste, un pesante festone di frutta, aiutata da un bimbo un po’ affaticato, che avanza verso la parte posteriore della fontana.

    L’impostazione del monumento risponde ad un abile espediente artistico: la postura delle statue e delle decorazioni è tale che l’opera si presenta ricca e piacevole non solo dal lato anteriore, ma anche da quello posteriore. Per questa scelta artistica, l’Autunno volge la schiena possente all’osservatore, mentre la sua massiccia gamba destra è rivolta a retro della fontana ed il volto è ritratto perfettamente di profilo, a mostrare da entrambi i lati i lineamenti di classica austerità. La statua, contornata da un ricco trionfo di frutta autunnale, sorregge l’anfora romana dalla quale sgorga l’acqua e guarda la stagione che la seguirà nel ciclo annuale.

    La fronteggia l’Inverno, un gigante muscoloso, dal viso barbuto e severo, che abbandona il braccio destro su un otre italico, che si svuota perennemente d’acqua. La stagione fredda è simboleggiata da un albero spoglio e dall’aquila che evoca la neve e i geli alpini. Il putto che aiuta a sorreggere l’otre, girato verso la parte posteriore della fontana, è molto diverso dagli altri: sul viso perfettamente tondo, i capelli s’innalzano a raggiera e, per alcuni, rappresentano i raggi del sole che progrediscono ciclicamente dall’inizio dell’inverno.

    Secondo i cultori della Torino magica, la fontana racchiude complessi messaggi esoterici, da cogliere nelle statue e nei fitti ornamenti che le circondano. Per altri, il significato della fontana è racchiuso nelle increspature dell’acqua verdognola che riflette, con le stagioni, l’ineluttabile trascorrere del tempo.

    L’intero isolato di via Pietro Micca, (delimitato da via XX Settembre e via Barbaroux, ai nn. 4-6-8) è il Palazzo Bellia, che con i suoi bow-windows sovrastati da logge e balconi sorretti da strutture a forma di calice, è opera di Carlo Ceppi: il maggior esponente dell’eclettismo architettonico a Torino ed il primo ad utilizzare nelle sue costruzioni il cemento armato.

    Ritorniamo indietro per via Cernaia fino ad incrociare Corso Galileo Ferraris, in direzione Piazza Albarello.

    Qui segnaliamo, in via S. Maria angolo vicolo S. Maria, la Chiesa di Santa Maria di Piazza. E’ opera di Bernardo Vittone, l’architetto piemontese che raccolse in maniera personale e vibrante le eredità di Guarini e di Juvarra, per certi aspetti più ancora del primo che del secondo. S. Maria di Piazza venne incominciata nel 1742. L’ideazione architettonica risolve positivamente una negativa situazione di fatto (la ristrettezza dello spazio), sospingendo verso l’alto il punto ideale di gravità dell’edificio, creando cioè una cupola preziosa, leggera, impregnata di luce.

    All’altare maggiore notevole l’Assunzione di Pier Francesco Guala, pittore che troviamo spesso al lavoro insieme a Vittone. Il primo altare a sinistra è dell’Università dei mastri minusieri ed ebanisti di Torino, cioè della prestigiosa corporazione alla quale appartennero i massimi artisti torinesi del mobile. La "Sacra Famiglia" sull’altare è di Mattia Franceschini.

    In un locale al primo piano, con ingresso dal vicolo S. Maria, si conservano nella sede della Corporazione i cimeli d’arte, tra i quali i Capi d’opera, cioè le antine a cornici multiple di incredibile difficoltà esecutiva che gli aspiranti mastri dovevano realizzare con legni contrassegnati, per essere ammessi nella corporazione.

    Sull’altro lato della strada (via Santa Maria, 1) è da notare il bel Palazzo Capris di Cigliè, del Plantéry, con classico portone intagliato barocco.

    Al centro di Piazza Albarello si trova via Cittadella, e al numero civico n. 5, la Biblioteca Civica. Essa oggi annovera 417.784 volumi e opuscoli, 30.000 lettere autografe, 1.064 cinquecentine, oltre 2.000 manoscritti (tra cui quelli autografi di Amedeo Avogadro e Vincenzo Gioberti), 61 incunaboli. Tra le sezioni che la compongono meritano menzione quelle di storia dell'arte, di teatro, di storia del Risorgimento, contemporanea e locale, oltre alla collezione pressoché completa delle edizioni bodoniane. E' centro di un sistema di 12 biblioteche di circoscrizione e di una biblioteca carceraria.

    Superata Piazza Albarello siamo in via della Consolata. Al n. 3 il Palazzo Martini di Cigala, che si affaccia su Piazza Savoia angolo via della Consolata. Risale al 1716 ed è una delle prime costruzioni civili di Juvarra a Torino, commissionata da una famiglia di opulenti banchieri. Da notare il nobile portone decorato: anche qui potrebbe esserci un pensiero dello Juvarra stesso.

    Sul lato della Piazza, opposto al Palazzo Martini, si affaccia l’imponente Palazzo Paesana (via della Consolata, 1) di Gian Giacomo Plantéry. L’edificio è la casa patrizia settecentesca più grande di Torino. Il palazzo ha un atrio colonnato, un cortile grandioso e sale che costituirono capolavori di decorazione e di arredamento. Aveva in origine due portali d’ingresso, due atri e due scaloni d’onore. Il palazzo è stato recentemente restaurato e ripresenta lo smagliante tessuto architettonico delle origini.

    Al centro di Piazza Savoia, l’Obelisco fu realizzato nel 1850, in ricordo delle leggi Siccardi che abolirono il privilegio della giurisdizione speciale per il clero.

    Su Piazza Savoia s’affaccia anche la Vecchia Farmacia Collegiata, fondata prima del 1500.

    Vicino a Piazza Savoia segnaliamo Palazzo Barolo (via delle Orfane, 7): fu ideato negli ultimi anni del Seicento da Francesco Baroncelli e terminato, verso la metà del '700 da Benedetto Alfieri. Tra i dipinti presenti ricordiamo le opere del Trevisani, di Bonaventura Lamberti, di Leonardo Marini.

    Non manca al Palazzo Barolo il ricordo di una storia cupa e funesta: la fine della figlia del costruttore dell'edificio, la quale si suicidò gettandosi da una finestra del primo piano nella contrada delle Orfane coperta di neve. Da questo evento nacque una leggenda la quale narra che il fantasma della giovane si aggiri nelle notti di plenilunio fra le sale. Nel Palazzo soggiornò Mozart e visse Silvio Pellico, di cui si conserva intatta la stanza.

    In via del Carmine 3, la Chiesa del Carmine, fu costruita nel 1732 secondo un progetto di Filippo Juvarra. Presenta un'ampia navata sostenuta da pilastri con cappelle laterali a nicchioni alti e slanciati.

    La volta centrale è a botte. A mezza altezza, un arco libero ed elegante, presente in ogni cappella, disegna l’illusione di un loggiato superiore. La chiesa sembra così una galleria fantastica in cui attrae l’attenzione il dipinto della "Madonna del Carmine" del Beaumont situata nell’abside. La chiesa fu ristrutturata nel 1943 in seguito ad un bombardamento.

    Ad angolo tra via S. Domenico e via Piave, sorge la Chiesa del Santo Sudario, che risale alla metà del ‘700. La volta è stata affrescata da Antonio Milocco.

    Proseguendo, tra via del Carmine e Corso Valdocco incontriamo i Quartieri Militari. Il progetto fu realizzato dallo Juvarra e per completarlo furono impiegati 12 anni. Ma il risultato ottenuto fu considerato la più bella caserma d’Europa. I Quartieri sono costituiti da due palazzi gemelli che si congiungono in una piazzetta su corso Valdocco. Questo progetto si concentrò su due punti finali: l’aspetto esteriore e scenografico e l’aspetto pratico e funzionale della caserma. Lo stile, ritmato da poderosi pilastri e da portici scuri e alti, conferisce alla costruzione l'aspetto di una struttura simile ad una fortificazione o ad un bastione. Attualmente gli edifici sono in uno stato di desolante degrado.

    Superato il palazzo dei servizi municipali, si giunge ad uno slargo ornato da una colonna con la statua della Consolata. Dietro a questa si trova il Santuario della Consolata . Questa Madonna è considerata la protettrice della città. L’attuale santuario ha origini remote che risalgono al IV secolo, quando il vescovo di Torino propose la venerazione di un’antica immagine della Vergine in una chiesetta dedicata a S. Andrea (di cui oggi rimane soltanto il campanileromanico alto 40 metri ed attribuito al monaco benedettino Brunigo). L’immagine ebbe vicende fortunose, scomparve e riapparve. Per collocarvi l’immagine fu costruita la cappella sotterranea che si può ancora vedere a destra dell’entrata.

    Nel 1678 venne dato a Guarino Guarini l’incarico di ampliare la chiesa con una sorta di presbiterio esagonale, l’attuale santuario vero e proprio. L’opera ha subìto ulteriori modifiche attribuibili a Juvarra, mentre la facciata neoclassica del 1860 è di Pietro Anselmetti. Nel 1899-1904 Carlo Ceppi realizzò quattro cappelle attorno all’esagono guariniano.

    L’altare maggiore è opera di Juvarra; sfavillante, teatrale e scenografico è giocato sullo stacco dal fondo scuro degli ori illuminati. Si possono notare, nella cappella di sinistra, le statue delle regine Maria Teresa e Maria Adelaide scolpite da Vincenzo Vela. Sono inoltre da osservare i dipinti del Moncalvo e di Pietro Francesco Guala e gli affreschi di Giovanni Battista Crosato.

    Nella sacrestia possiamo inoltre trovare splendidi armadi e sovrapporte barocche. Motivo di curiosità sono gli ex voto esposti nella sala antecedente la sacrestia. Alcuni sono antichi e preziosi, altri più recenti. La Consolata si trova nel cuore della vecchia Torino.

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    Di fronte al santuario, sulla piazza, si trova una delle più antiche erboristerie della città.

    Un locale caratteristico è "Al Bicerin"  (Piazza della Consolata,5), dove si serve il "bicchierino": un goloso miscuglio di caffè caldo, cioccolato e panna, le cui origini sono da ricercare nella "bavaréisa". Fondato nel 1763 come bottega dell’acquacedrataio e confettiere Dentis, nella prima metà dell’Ottocento si trasforma nella odierna cioccolateria. E’ attualmente ancora com’era quando lo frequentavano Crispi e Cavour.

    A partire dall’Ottocento c’è stata e c’è tutt’ora un’altra Torino, la Torino della Fede. Giovanni Bosco e Giuseppe Cottolengo, santi o beati, danno vita alla "vocazione sociale" della Chiesa torinese con la loro assistenza ai poveri, ammalati, infelici, disperati.

    Il Valdocco è la zona di Torino che racchiude il Cottolengo, di Giuseppe Benedetto Cottolengo, e la Casa Madre dei Salesiani. Il complesso di edifici del Cottolengo, ora è una città nella città, che accoglie ricoverati con deformità indicibili, le povertà più disperate, le malattie più devastanti.

    La Casa Madre Salesiana di Don Giovanni Bosco è considerata una vera e propria cittadella della fede. Don Bosco accolse molti ragazzi di famiglie disagiate nel suo primo oratorio presso la chiesa di San Francesco d’Assisi; in seguito sorsero laboratori, una tipografia, una scuola e una chiesa. Quest’ultima nacque tra il 1865 e il 1868 e venne chiamata Chiesa della SS. Maria Ausiliatrice, dedicata alle suore di Don Bosco.

    Il tempio è dominato dalla statua della Madonna sulla cupola e conserva il corpo di San Giovanni Bosco, al quale è dedicato il monumento dinanzi alla chiesa. Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice diffondono la fede lavorando, insegnando, fondando scuole e infermerie.

    Proseguendo per Corso Regina Margherita, si giunge in Piazza della Repubblica, conosciuta col nome di "Porta Palazzo", è la più grande piazza di Torino e anche la più pittoresca, a causa del mercato che la occupa.

    Porta Palazzo fu il balcone di Torino verso nord, alla fine di via Milano. Fu disegnata da Gaetano Lombardi nel 1814, ma già Filippo Juvarra nel 1729-31 creò la scenografia della prima parte della piazza e il bellissimo atrio d’ingresso a Torino. Nel 1836 nella piazza vennero costruiti il padiglione del mercato alimentare e quello del pesce, in seguito anche quello dell’abbigliamento. Lo spazio rimanente viene occupato da migliaia di banchetti che fanno di Porta Palazzo il più grande e il più popolare dei mercati torinesi.

    Risale alla prima metà del '700 l'allargamento ideato dallo Juvarra al termine di via Milano con la piazzetta romboidale della Basilica, che prelude prospetticamente al grande spazio di Piazza della Repubblica: l'architetto intese in questo modo allargare la visuale sulla più grande piazza di Torino (m²51300), detta Porta Palazzo; sorta anch'essa su progetto originale di Filippo Juvarra, prevedeva una grande piazza tutta porticata, aperta mediante un arco sull'attuale corso Giulio Cesare (grande via di scorrimento verso Milano); il progetto non fu portato a compimento e di questo rimane l'attuale parte porticata della piazza.

    L'importanza del luogo derivava dal fatto che i trionfatori della celebre battaglia del 1706,Vittorio Amedeo II ed il Principe Eugenio erano passati di lì per entrare a Torino. La vecchia porta che vi esisteva era stata subito chiamata Porta Vittoria, e Borgo Vittoria la zona poco lontana, dove si era svolto lo scontro finale tra l'esercito austro-piemontese e quello francese.

    Porta Palazzo appartiene alla corona degli spazi "vuoti" che la preveggente urbanistica torinese del primo Ottocento collocò ai quattro punti cardinali della città, allo sbocco degli assi di scorrimento dentro il tessuto urbano. Nel 1836 vennero costruiti sulla piazza i due padiglioni del mercato alimentare, del mercato del pesce e in tempi più vicini quello dell'abbigliamento.

    Oggi Porta Palazzo è il più importante fra i 47 mercati di Torino, e comprende padiglioni e una zona aperta, dove sono assiepati centinaia di banchetti, ombrelloni colorati e tettoie in tela. E' un mercato estremamente vivace e particolare: accoglie vecchie cartomanti, rivenditori di generi di contrabbando e, la domenica mattina, giocolieri, funamboli e il mercato degli animali (cuccioli, gattini, galli, galline, uccelli, etc.).

    Una lapide affissa a Porta Palazzo ricorda Francesco Cirio, pioniere delle conserve di pomodoro, che in una stanza affittata in via Borgo Dora 34 cuoceva in due grosse caldaie ed inscatolava. Il primo grande lancio avvenne durante la spedizione italiana in Crimea.

    Nelle immediate vicinanze di Porta Palazzo, da via Mameli verso il Borgo Dora, si estende il caratteristico mercato popolare dell'usato il Balôn, in cui si possono trovare le merci più strane e talvolta anche dei piccoli tesori di antiquariato.

    In fondo c'era un ponte di legno che attraversava la Dora, il secondo fiume di Torino; questo venne poi sostituito nel 1830, per volere del re Carlo Felice, da un arditissimo ponte in pietra, lungo 78 metri e molto alto rispetto alle acque del fiume che scavalcava con un unico arco dalla linea molto snella. Costruttore fu l'ingegnere Carlo Bernardo Mosca, da cui deriva il nome del ponte: Ponte Mosca.

    Dalla zona, alzando lo sguardo, vediamo in lontananza, sulla collina torinese il capolavoro dello Juvarra nel campo dell'architettura religiosa: la Basilica di Superga , costruita a partire dal 1717, come tempio votivo voluto da Vittorio Amedeo II in caso di vittoria contro l'esercito franco-spagnolo, che in quel periodo assediava la città. Quando l'esercito austro-piemontese sconfisse gli avversari fece costruire il tempio.

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    I lavori iniziarono nel 1717 e nel 1731 la basilica fu terminata e venne inaugurata da Carlo Emanuele III. La basilica venne costruita in posizione scenografica di predominio sul territorio (669m), in collegamento visivo con la reggia di Rivoli.

    La pianta circolare è contornata da un doppio ordine di colonne in marmo grigio, corinzie nell'ordine inferiore, composite nel superiore. L'alta cupola domina il paesaggio circostante tra i due agili campanili di carattere romanico ebarocco, ispirati al Borromini. Le colonne corinzie sono alternate a grandi finestre; più in alto ci sono occhi ellittici e altre finestre più piccole permettono la penetrazione all'interno di una diffusa luce, tipica dello Juvarra.

    Anteriormente la Basilica presenta un pronao imponente, costituito da otto colonne corinzie. Si accede al pronao salendo una solenne scalinata. All'interno troviamo decorazioni a stucco e nelle quattro cappelle dipinti di Ricci, Cornacchini, Cametti e Beaumont. L'altare maggiore è impreziosito da un bassorilievo di Cametti che riproduce la Battaglia di Torino. Alla sinistra dell'altare una porta introduce alla Cappella del SS. Sacramento che accoglie la statua in legno della Madonna, davanti alla quale i principi sabaudi fecero il voto per la liberazione di Torino.

    Sotto la chiesa troviamo le tombe dei re sabaudi da Vittorio Amedeo II a Carlo Alberto e altri personaggi famosi, come Amedeo duca d'Aosta, Maria Pia regina del Portogallo e Ferdinando duca di Genova. Il vasto corpo che conclude posteriormente la basilica fu destinato al convento e ospitò la "Congregazione dei Sacerdoti regolari" istituiti da Vittorio Amedeo II e una bellissima biblioteca disegnata da Alfieri.

    Il 4 maggio 1949 contro questo edificio si schiantò l'aereo che riportava in patria i calciatori della squadra del Grande Torino e una lapide dietro la Basilica ne indica il luogo.

    Dal piazzale della Basilica si ammira un eccezionale panorama, forse il più bello della collina piemontese; di qui si possono osservare le quinte progressive delle Alpi, la valle del Po e le colline del Monferrato.

Torino_Itinerario 1
Torino_Itinerario 2
Torino_Itinerario 3

 

   Mirò

1 commento:

Anonimo ha detto...

Complimenti il più bell'articolo su cosa vedere a Torino e perchè. Continui così con questo blog veramente interessante.
Massimo

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