lunedì 22 novembre 2010

Torino “Turin” (itinerario 2/3) – Via Roma e dintorni, sorseggiando una cioccolata o un “bicerin”

A Torino all'angolo di Piazza Castello con la Galleria Subalpina si affacciano le vetrine dell'antica "Confetteria e Liquoreria Baratti & Milano". Questo caffè-pasticceria fu inaugurato nel 1873 dai proprietari Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano.

All'interno l'arredamento in elegante stile Liberty e le decorazioni raffinate e preziose con fregi floreali sono firmate da Giulio Casanova, mentre i bassorilievi di bronzo sulla facciata, l'orologio di rame e i segni zodiacali appartengono allo scultore Edoardo Rubino. Nel locale sono presenti blasoni  richiesti dai principi Vittorio Emanuele e Amedeo.

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    A questo caffè Guido Gozzano dedicò una gustosa poesia dal titolo "Le golose".

    Il caffè Mulassano , situato in Piazza Castello 15, appartiene ai migliori esempi dell’architettura per il commercio, per cui si costituì un sistema di arredi commerciali di alta rappresentatività. Permane una continuità visiva tra l’ambiente raccolto dell’interno e lo spazio pubblico del sottoportico, grazie alla trasparenza della vetrina, e ciò costituisce un luogo scenico rappresentativo della vita sociale di Torino.

    La facciata e gli arredi interni sono realizzati dall’ingegnere Antonio Vandone, che disegnò tutti gli accessori; questo è infatti uno dei locali tardo-Liberty con spunti decò, che presenta una struttura a "monoblocco" basata su modelli dell’Ottocento. All’interno si possono ammirare il soffitto a cassettoni in legno e cuoio di gusto rinascimentale, opera del Patacchi, pareti in legno, arricchite da decori e rivestite da specchi ad opera di Enrico Pezza e il bancone in marmo, ricco di toni ambrati dell’onice di Numidia e di decorazioni in bronzo. Sul pavimento marmoreo, abbondano i colori del rosso di Francia e del giallo imperiale.

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Sono conservati accessori e suppellettili di disegno Liberty, come l’alzatina in onice di Numidia ed i tavolini marmorei di Bardiglio quelli esterni e in onice del Piemonte quelli interni.

    In collegamento tra Piazza Castello e Piazza Carlo Alberto si trova la Galleria dell'Industria Subalpina , passaggio coperto e salotto a un tempo. La galleria è stata realizzata nel 1874 da Pietro Carrera seguendo lo spirito dell’eclettismo.

    L’impostazione della galleria è a pianta rettangolare; sui due lati lunghi si affacciano le vetrine di raffinati negozi, una galleria d’arte e un cinema cittadino di antica memoria. Il secondo ordine è costituito da ampie finestre ad arco, tripartite da pilastrini. La zona superiore è sottolineata da un ballatoio, che corre lungo tutta la superficie della galleria ed è sostenuto da eleganti mensole. Anche qui notiamo l’originalità delle vetrate suddivise in quattro aperture da esili colonnine. In alto la parete si flette morbidamente, quasi a "carena di nave", e termina in una struttura geometrica e leggera costituita da una luminosa volta di vetro e metallo.

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    In Piazza Carlo Alberto, sempre a Torino, troviamo il Monumento Equestre a Carlo Alberto, opera di Carlo Marocchetti (1861), che è di livello artistico pari a quello del "caval 'd brôns". Il re è vegliato dai suoi soldati, il granatiere, il lanciere, l' artigliere, il bersagliere. Nel bassorilievo sono raccontate scene della sua vita: vittorie, abdicazione e morte.

    Nella casa al n. 6 di via Carlo Alberto, con finestre sulla piazza, al terzo piano abitò Friederich Nietzsche.

    Piazza Carlo Alberto occupa una parte dell'antico giardino del principe. La costruzione della piazza è di Domenico Ferri e Giuseppe Bollati.

    Sul lato opposto, la facciata della Biblioteca Nazionale è ancora quella che Filippo Castelli disegnò nel 1790 per le scuderie dei principi di Carignano, che dovevano essere imponenti e più simili ad un palazzo che ad una rimessa.

    In centro a Torino, passando per via Cesare Battisti arriviamo nella piazza su cui si affaccia Palazzo Carignano  . I lavori sono cominciati su commissione di Emanuele Filiberto il Muto l’11 maggio 1679, in un terreno a sud di Piazza Castello. Il progetto è opera e merito di Guarino Guarini, e fu completato in sei anni. Il nuovo edificio avrebbe quindi interrotto la regolarità del tracciato ortogonale del reticolo di vie.

    Il punto fondamentale della costruzione guariniana è il poderoso cilindro ellittico, fasciato dall’andamento serpeggiante della parte centrale della facciata verso Piazza Carignano. Al sinuoso nucleo del palazzo si connettono simmetricamente due corpi di fabbrica rettilinei.

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Al centro, in alto, sopra il portale coronato da un imponente balcone a nicchia, un grande cartiglio ricorda che "Qui nacque Vittorio Emanuele". Il manufatto bronzeo è situato su di un timpano disegnato con raffinato gusto barocco da Carlo Cepi nel 1878.

    Entrando nel Palazzo, ognuno degli interni, che si succedono con grande varietà di forme, tende a diventare un organismo autonomo, a sé stante; contiamo infatti sei ambienti diversi: dal ristretto atrio esagonale, con sei colonne addossate agli angoli si passa al vasto atrio ellittico, con colonne ioniche. Il giro ellittico della zona centrale della volta è incorniciato da spicchi di voltine impostate radialmente e terminanti in lunette. A destra e a sinistra sono impostati i due vestiboli rettangolari, con grandi e rigogliose colonne composite; le volte sono a botte e con piccole lunette riprendono il motivo del grande atrio. I due originali scaloni a tenaglia hanno scalini con opposta curvatura.

    Nel 1820 vi nacque Vittorio Emanuele II  e nel 1848 il salone delle feste fu trasformato nella Camera dei Deputati del Regno Sabaudo.

    Con la proclamazione del Regno d’Italia, la piccola aula ricavata nel salone d’onore del palazzo divenne troppo stretta per accogliere il primo Parlamento Italiano. Ne fu costruita una provvisoria nel cortile (che è decorato da un ripetersi di stelle a otto punte in mattone); poi, dal 1863 al 1871, l’edificio fu ampliato verso l’attuale Piazza Carlo Alberto. Il nuovo enorme salone del Parlamento, al centro dell’ala ottocentesca, fu terminato proprio quando la capitale emigrò da Torino a Firenze e poi a Roma. Il palazzo entrò in una fase di decadenza: divenne così sede inadeguata per raccolte di zoologia e mineralogia.

    Dal 1938 ospitò il Museo del Risorgimento  Italiano , cui si accede tramite due grandi scaloni simmetrici. Il museo, fondato nel 1884, è costituito da 27 sale in cui si possono vedere dipinti, documenti storici, statue, bandiere, fotografie, uniformi, giornali, relativi al periodo che va dal 1706 alla II guerra mondiale. Il Palazzo, verso Piazza Carlo Alberto, presenta una maestosa facciata, ispirata alla compostezza del Rinascimento francese.

    Tornati in Piazza Carignano, all’angolo con via Cesare Battisti si trova il Ristorante del Cambio . Esso passò alla storia come "Ristorante di Cavour". Inizialmente fu una bottega del caffè, frequentato da viaggiatori e negozianti, poiché situato al punto di partenza della diligenza per Parigi. Fu frequentato anche da Giacomo Casanova.

    All’interno del Caffè si operava il cambio delle monete e nella piazzetta il cambio dei cavalli: l’origine del nome prestigioso è a scelta fra queste due ipotesi.

    Il Caffè del Cambio, ampliato e decorato nello stile della Restaurazione nel 1846 dal Panizza, si trasformò in ristorante, ben frequentato grazie alla sua vicinanza col Palazzo dei Principi di Carignano e al Teatro omonimo. Ospite privilegiato fu Camillo di Cavour: quand’era ministro vi pranzava sovente.

    Accanto al ristorante del Cambio sporge la bussola poligonale del Teatro Carignano . Il palazzo progettato da G.B. Feroggio in muratura, dopo due incendi che distrussero i precedenti edifici in legno, presenta un interno dorato e decorato in stile settecentesco; la sala è a forma di ferro di cavallo, in cui si aprono leggiadri palchi. Il teatro venne rifatto più volte, acquisì il suo aspetto attuale sul finire del ‘700 e venne restaurato alla fine dell’800.

Al centro di Piazza Carignano s’innalza il monumento a Gioberti.

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    Il Palazzo dell’Accademia delle Scienze, situato in Via Accademia delle Scienze 6 , nasce come Collegio dei Nobili, gestito dai Gesuiti, per ospitare i ragazzi delle casate aristocratiche che venivano a studiare nella nostra città. Il progetto, con linee razionali e rigorose, è attribuito al Guarini (1679). La direzione dei lavori fu affidata al Garove, che ripartì l’altezza dell’edificio, in mattoni a vista, in tre ordini uguali, con ampi finestroni, contornati da eleganti cornici di un severo barocco.

    Dal 1787 diviene Sede dell’Accademia delle Scienze, la quale vanta di una preziosa biblioteca di 100.000 volumi. Inoltre il Palazzo ospita due tra i più importanti musei di Torino: il Museo Egizio e la Galleria Sabauda.

    Il Museo Egizio  è considerato il più famoso museo torinese, a cui la città deve la sua immagine all’estero, in quanto conserva una delle più importanti collezioni delle antichità egizie.

    L’ingresso principale è situato in via Accademie delle Scienze 6, mentre quello posteriore è in via Duse .

    A Torino già esisteva una collezione egizia, non numerosa, che i Savoia acquistarono (1600) dai Gonzaga. Nel 1700 Carlo Emanuele III invia in missione il professor Donati, il quale fa pervenire a Torino la statua di Ramses II.

    Il francese Champollion, nel 1822, pone le basi dell’egittologia decifrando la scrittura egizia incisa sulla Stele di Rosetta, che prese nome dal luogo in cui fu riportata alla luce, nel 1799, da un ufficiale dell’esercito napoleonico. Il testo era stato inciso su un blocco di diorite ed era stato redatto per gli egiziani in caratteri geroglifici e demotico ed in greco per i Tolomei, che governavano l’Egitto. Per l’importanza del documento ne furono realizzati immediatamente calchi che furono messi a disposizione degli studiosi. Confiscata dagli inglesi dopo la sconfitta dell’esercito napoleonico la stele è conservata al British Museum di Londra ed un suo calco è esposto nello statuario del museo egizio di Torino.

    Nel 1824 il re Carlo Felice di Savoia acquista la collezione Drovetti che è caratterizzata da documenti eccezionali ed è espressione dell’arte, delle tradizioni funerarie, religiose e della vita quotidiana. A queste raccolte vennero aggiunte, nel 1832, le antichità egizie già presenti nella città tra le quali ricordiamo la mensa Isiaca.

    Alla fine dell’800 divenne direttore del museo Ernesto Schiapparelli, il quale ampliò le collezioni ed eseguì importanti scavi in Egitto (ricordiamo la scoperta della tomba di Nefertari). Il prosecutore dell’attività di Schiapparelli fu Giulio Farine.

    Nel 1967 il governo egiziano donò al Museo Egizio il tempio rupestre di Ellesija, in segno di riconoscenza per il contributo al salvataggio dei monumenti nella zona della diga di Assuan.

    Le sale del museo sono 11, dislocate su 3 piani: una si trova a livello sotterraneo, due sono al pian terreno, 8 a quello superiore.

    Le due sale a pian terreno costituiscono lo statuario. All’ingresso accolgono il visitatore due statue monumentali di sfingi appartenenti alla collezione Drovetti. Le statue raffigurano la Sfinge con corpo leonino e testa regale, con il copricapo e barba cerimoniale. Al centro della fronte è situato il cobra. La Sfinge è l’immagine della potenza del Dio Sole e del faraone che lo rappresenta sul trono d’Egitto.

    Nella prima sala si possono ammirare la statua del faraone Amenhotep II e la statua del faraone Ramses II, appartenenti alla collezione Drovetti. La statua in granito rosa di Amenhotep raffigura il faraone in ginocchio nell’atto di presentare alla divinità i vasi dell’offerta del vino. La statua di Ramses II, forse la più bella del museo, in basanite nera, ritrae il faraone sul trono con i simboli del potere che sono il cobra sul copricapo e lo scettro nella mano destra. Ai lati della statua sono riprodotte le figure della regina Nefertari e del figlio primogenito.

    A sinistra della sala si visita il tempio rupestre di Ellesija, dedicato a Thutmosi III. Infine, sul fondo della sala si trova il colosso di Sethi II.

    La seconda sala dello statuario ospita l’immagine scolpita della dea Sekhmet, la statua del faraone Thutmosi III e il gruppo statuario del faraone Tutankhamon e del dio Amon appartenenti alla collezione Drovetti. La dea Sekhmet è rappresentata con la testa leonina sormontata dal disco solare, ornato al centro dal cobra nell’atto di attaccare. La mano destra impugna il simbolo della vita e con la mano sinistra stringe il bastone della fertilità. La statua di Thutmosi III raffigura il faraone seduto sul trono, con l’abbigliamento tipico della tradizione egizia. A Thutmosi III si deve la massima espressione dell’impero egiziano nel vicino oriente ed in Nubia. Il gruppo statuario di Tutankhamon rappresenta il faraone in piedi a lato del dio Amon, il quale è seduto sul trono e celebra la riconciliazione tra potere regale e sacerdotale.

    Nel piano sotterraneo, lungo il tratto delle mure romane, scoperto durante l’ultimo ampliamento del museo, è stata allestita una sala espositiva dedicata ai reperti provenienti dagli scavi di Schiapparelli.

    Al primo piano si trovano due sale; la prima sala è dedicata alle stele e alla piccola statuaria, con reperti provenienti dai luoghi pubblici del culto. Troviamo lapidi, stele, mense, tavole d’offerta. Sulle stele si leggono inni e preghiere che aiutano a ricostruire la storia del paese. Pregevole sotto il profilo artistico è l’equilibrata divisione degli spazi e l’armonia delle figure ben distribuite e curate nei particolari dell’abbigliamento, la riproduzione fedele delle suppellettili e delle offerte che mirano a dare una visione diretta dell’ambiente.

    La seconda sala è dedicata a suppellettili funerarie a testimonianza del culto degli egiziani per l’Aldilà. Qui si trovano esposte alcune mummie e canopi, vasi contenenti gli organi interni mummificati dei defunti, e sono esposti tutti gli amuleti e ornamenti che venivano posti sul corpo del defunto.

    La mummia è il cadavere trattato, per impedirne la putrefazione, con speciali procedimenti, tra cui l’estrazione degli organi. In seguito il corpo veniva riavvolto in una fitta trama di bende con amuleti. La conservazione del corpo era ritenuta condizione necessaria per la sopravvivenza nell'aldilà. Facevano parte del corredo del defunto alcune statuine funerarie (talvolta centinaia) che rappresentavano i servitori del defunto (ushabti).

    L’elemento più importante per il corredo funebre era il Libro dei Morti, che in realtà per gli egizi era "il libro per uscire alla luce del giorno" e di cui il Museo Egizio conserva il maggior numero di esemplari al mondo. Esso conteneva una raccolta di preghiere, di formule magiche, di accorgimenti per superare tutti i trabocchetti e le difficoltà dell’ignoto.

La principale era il giudizio di Osiri, nel cui tribunale si pesava il cuore su una bilancia, sotto gli occhi attenti di una schiera di dei e mentre il dio della scrittura Thot stendeva il verbale. Si doveva stabilire se il comportamento dell’individuo era stato corretto in questa vita, se meritava un avvenire beato o doveva essere preda del mostro mezzo fiera e mezzo scrota che si dimenava davanti al trono di Osiri.

In questa prova il defunto non era solo. Tramite un testo noto come "confessione negativa", poteva discolparsi di tutti i suoi peccati. Accolto tra i giusti il personaggio poteva condurre un’esistenza serena. Ad evitare ogni eventuale fatica vi era una speciale formula magica che chiamava in vita le numerose statuine funerarie presenti nella tomba ed esse subentravano al servizio del defunto. Se il defunto era stato particolarmente benemerito tra la sua gente trovava posto sulla barca del sole.

    Il sarcofago, di cui sono presenti molti esempi in questa sala, si trasformò da quella che era una semplice cassa in un contenitore sempre più prezioso, adorno di pitture dentro e fuori, assumendo infine la forma antropoide.

    La terza sala è riservata ai vasi antichi, di ceramica, di pietra, di bronzo e di vetro, coppe e monili. Questo ingente repertorio di vasellame veniva usato per il trasporto e la conservazione del vino; troviamo pentole, bicchieri e recipienti di ogni tipo per la conservazione di qualsiasi prodotto. Accanto al vasellame sono esposti strumenti di pietra, gioielli e statuette. Impressionante è la visione dei corpi di un adulto e un bambino, sepolti in posizione rannicchiata e avvolti con tele e stuoie.

    Al centro della sala è conservato il modello della tomba della regina Nefertari, moglie di Ramesse II.

    Nel fianco di questa sala si aprono tre sale importanti, la prima è la tomba di ignoti che contiene tre sarcofagi e un ampio corredo, la seconda è la cappella del pittore Maia e la terza è la tomba dell’architetto Kha e di sua moglie Merit, che contiene tre sarcofagi per il marito e due per la moglie, il più antico libro dei morti, particolarmente bello per la presenza di splendide miniature e uno straordinario corredo, simbolo di una famiglia benestante. Insieme ai sarcofagi erano conservati nella camera i mobili, gli strumenti da lavoro, gli oggetti da toeletta, cibi e bevande.

    La quarta sala ospita una serie di oggetti atti ad illustrare l’arte della tessitura in Egitto. Vi sono campioni di lino, riproduzioni di scene di filatura e strumenti di lavoro. In particolare in questa sala, troviamo la mensa Isiaca che è una tavola in bronzo ispirata alle tradizioni religiose egizie. Si pensa che la mensa Isiaca sia opera di imitatori romani.

    Nella quinta sala si trova una collezione di pergamene, papiri e strumenti utilizzati per la scrittura. Un papiro di notevole importanza è il "Canone Regio", nel quale viene indicata la successione dei faraoni. Nei tavolini si ammirano alcuni schizzi che rivelano la maestria del pennello di questi antichi scribi e disegnatori. Di magnifica eleganza è l’abbozzo, eseguito su "ostrakon", di una danzatrice, giocato sullo schema del pentagono e tuttavia dotato di una immediata naturalezza. Vi sono altri bozzetti eseguiti dai pittori che dovevano decorare le pareti delle tombe regali.

    Nella sesta sala sono illustrate le arti della guerra, la caccia e la pesca, la musica, il lavoro, le arti minori, la medicina, i passatempi, la toeletta, la misura del tempo e dello spazio.

La settima sala espone reperti religiosi fra cui la vetrina della magia, con talismani e tabernacoli.

    Nell’ultima sala del museo sono esposti i principali ritrovamenti da tombe; la sala è dedicata alla pittura e presenta anche dei modelli di barca.

    Usciti dal Museo Egizio, si visita al terzo piano, la Galleria Sabauda  che è una delle maggiori espressioni del collezionismo dei Savoia. Carlo Alberto mise a disposizione del pubblico i dipinti che avevano acquistato i suoi antenati, tra cui Emanuele Filiberto.

    La raccolta della galleria deve l’inizio e il nome alle collezioni dei duchi di Savoia, poi re di Sardegna. La collezione era tra le migliori d’Europa, molto prima che un incendio nel 1659 la distruggesse. Carlo Alberto decise di dare vita alla "Sabauda" con la pinacoteca di famiglia (come avvenne per l’Armeria Reale con le armi e la Biblioteca Reale con i libri).

    Complessivamente i quadri esposti a Palazzo Madama  sono 364 e provengono da differenti residenze sabaude, dalla quadreria dei Carignano e del Palazzo Durazzo di Genova. L’acquisto più importante fu costituito dall’insieme di dipinti e opere d’arte donate da Riccardo Gualino, giunte alla Sabauda nel 1959.

La Galleria Sabauda è divisa in sette settori: tre presentano le collezioni dinastiche sabaude, il quarto la collezione del principe Eugenio con i superbi fiamminghi e olandesi, il quinto l’esposizione dei maestri italiani, il sesto i piemontesi e il settimo la collezione Gualino.

La Galleria Sabauda accoglie la più importante raccolta italiana dei maestri dei Paesi Bassi, da Jan Van Eyck a Petrus Christus, da Van der Weyden a Rembrandt, da Van Dyck a Ruisdael, dal Dou a Potter. La grande pittura italiana è rappresentata nella Galleria da tavole e tele di pregiotteschi, dell’Angelico, del Pollaiolo, del Mantegna, ai quali si avvicinano Veronese e Bronzino, Guercino e Tintoretto, Gentileschi e Tiepolo. Insieme a loro Martino Spanzotti e Defendente Ferrari, rappresentano il fiorire della pittura piemontese nel tardo Rinascimento.

Accanto al palazzo che accoglie il Museo Egizio, sorge la Chiesa di S. Filippo Neri (via Maria Vittoria, 5), che è la più grande chiesa di Torino ed è legata a due grandi nomi dell’architettura torinese, Guarini e Juvarra. Durante il XVI secolo S. Filippo Neri fonda a Roma la congregazione dei Padri Oratoriani, chiamati poi in seguito Padri Filippini. I Padri giunsero a Torino nel 1649, e il duca Carlo Emanuele II concesse due giornate di terreno per costruire un convento, dotato di oratorio e una chiesa, la cui costruzione comincia nel 1675 con la collocazione della prima pietra da parte della duchessa Giovanna di Nemours. Si distinguono tre periodi di costruzione:

    * il periodo di Guarini (1679-1714), che ottenne l’incarico per la costruzione della chiesa. Però nell’ottobre del 1714, dopo un periodo di piogge, la cupola dell’edificio crollò, distruggendo la parte anteriore del tempio;

    * il periodo di Juvarra (1715-1790) che ricostruì la navata unendola al presbiterio guariniano;

    * il periodo di Talucchi (1815-1854), che completò l’interno della chiesa, nel 1834, e terminò la facciata.

    Fra i ricordi legati alla chiesa c’è quello del beato Sebastiano Valfrè, parroco di S. Filippo, il quale svolse un’opera di conforto spirituale della popolazione durante l’assedio e fu in seguito il confessore di Vittorio Amedeo II.

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    L’interno della chiesa di S. Filippo Neri che è di Juvarra, presenta una navata con volta a botte, raccordata al presbiterio guariniano della preesistente chiesa. Le sei cappelle laterali sono costituite da nicchioni ellittici e lo spazio è illuminato da immensi finestroni; l’altare risale alla chiesa precedente degli anni 1697-1703 e fu opera di Michelangelo Garove. Il dipinto dell’altare è di Carlo Maratta e raffigura la Vergine con il Bambino, i beati Amedeo IX e Margherita di Savoia, S. Giovanni Battista e S. Eusebio.

    Altri artisti che ornarono la chiesa furono Francesco Trevisan, Francesco Solimena e Sebastiano Conca. Nella sacrestia è conservato il paliotto d’altare intarsiato nel 1749 da Pietro Piffetti con legni rari, metalli pregiati, madreperla e pietre dure.

    Il Palazzo Asinari di San Marzano è collocato proprio di fronte a S. Filippo Neri (via Maria Vittoria, 4) e l’architetto Michelangelo Garove, che lo costruì nel 1684, vi dimostra la sua calda fantasia guariniana. La suggestione di questo seicentesco palazzo è dovuta soprattutto all’atrio caratterizzato da colonne ritorte, che nel terzo inferiore diventano un cilindro fasciato da scanalatura "a torchon". Le colonne terminano in capitelli di estrema eleganza plastica da cui sbocciano le vele di una volta stellare, scandita da costoloni ricoperti di decorazioni naturalistiche in stucco, confluenti in uno specchio circolare a sua volta ricoperto da rilievi stilizzati.

    In origine al primo cortile seguiva un secondo di servizio che si apriva su un giardino, ormai scomparso come quasi tutti gli altri che davano respiro ai palazzi aristocratici torinesi.

    Le sale interne del Palazzo hanno in gran parte aspetto settecentesco, essendo state rinnovate da Benedetto Alfieri e da Francesco Martinez.

    Sempre in via Maria Vittoria al n.12 il Palazzo dal Pozzo della Cisterna. Fu costruito nel Seicento, fu radicalmente rinnovato in forme neoclassiche dall’architetto Francesco Dellala di Beinasco a partire dal 1773. Furono chiamati alle decorazioni i più noti artisti operanti a Torino in quegli anni, fra i quali l’intagliatore Bonzanigo.

    Una particolarità rara, anzi unica, del palazzo: ha conservato in parte il suo giardino, delimitato da una cancellata ottocentesca su via Carlo Alberto. Altra caratteristica: le facciate del cortile sono in mattone a vista. Dal 1940 il palazzo è sede dell’Amministrazione Provinciale. Alcuni notevoli dipinti sono conservati negli ambienti del piano nobile.

    Proseguendo per via Maria Vittoria s’incontra Piazza Carlo Emanuele II. Essa dal 1799 al 1814 ospitò una ghigliottina funzionante: quando non era usata veniva alloggiata nei chiostri del Carmine. La piazza è ancora oggi chiamata dai torinesi Carlina, dal soprannome che il popolo aveva affibbiato al Duca Carlo Emanuele II. L'architetto Amedeo di Castellamonte aveva dapprima immaginato la piazza in forma ottagonale, ma sarebbe stata troppo scomoda per chi avesse voluto fabbricarvi case. Così la piazza nacque rettangolare.

    Dell'aspetto che avrebbe dovuto avere la piazza, rimane un ricordo nel Palazzo Coardi di Carpeneto, dove si conserva un ambiente affrescato da Domenico Guidobono e altre decorazioni sono state rimesse in luce da un recente restauro.

    Sul lato opposto della piazza, si sente la mano dello Juvarra nella facciata del Palazzo Roero di Guarene, per il cui prospetto diede l’idea un gentiluomo dilettante d'architettura, il conte Carlo Giacinto Roero di Guarene. Anche per le decorazioni e gli arredi, il palazzo era considerato uno dei più belli di Torino.

    Sul lato sud sorge la Chiesa di Santa Croce progettata da Filippo Juvarra, per le monache agostiniane. Notevole l'interno a pianta ellittica.

    Simmetrico a Santa Croce, sullo stesso lato, il Collegio delle province è opera di Bernardo Vittone. Fu edificato allo scopo di selezionare e mantenere agli studi i giovani più meritevoli, indipendentemente da nascita e censo.

    Al centro della piazza si eleva il monumento al conte Camillo Benso di Cavour, eretto da Giovanni Duprè nel 1873.

    Sito in via Principe Amedeo 34, Palazzo D’Azeglio s’affaccia su Piazza Carlina ed è opera di Michelangelo Garove. Il 24 ottobre 1798 vi nacque uno dei personaggi più importanti del Risorgimento piemontese, Massimo D’Azeglio, che fu uomo politico, pittore e intellettuale dell’epoca, impegnato in diverse battaglie politiche. Palazzo D’Azeglio, sede dell’odierna Fondazione Einaudi, ha mantenuto il suo elegante aspetto esteriore e conserva ancora opere d’arte di notevole valore, come le dieci sovrapporte dipinte dall’Ottani e la volta del salone affrescata dal Gonin con motivi allegorici.

    Ritornando indietro, in via Carlo Alberto 16, possiamo ammirare Palazzo Birago di Borgaro (1716), che è a pieno diritto tra i più importanti di Torino e costituisce una tappa dell’itinerario Juvarrano. La facciata ha uno schema castellamontiano, ma spicca nella via per la purezza di linee e per il portale a colonne sporgenti che sorreggono il balcone, e acquista visibilità dall’essere fronteggiata, anziché da una cortina di palazzi, dal giardino di Palazzo Cisterna. L’atrio bellissimo e il cortile costituiscono un piccolo teatro architettonico, che ha il suo punto prospettico in una nicchia con la statua di una portatrice d'acqua.

    Ripercorriamo via Maria Vittoria fino a raggiungere via Roma, l’antica Contrà Nuova commissionata ad Ascanio Vitozzi da Carlo Emanuele I (I° ampliamento della città verso sud) e continuata da Carlo di Castellamonte. E’ sicuramente una delle più belle e ricche vie della città. I suoi portici risalgono agli anni Trenta, dopo uno sventramento e rifacimento della via e il secondo tratto, verso Porta Nuova, è stato rifatto da Carlo Piacentini, che si ispira ad un modernismo freddo e spigoloso, non esente da critiche.

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    Quasi ad angolo tra via Roma e via Santa Teresa incontriamo   la Galleria San Federico . Progettata negli anni Trenta da Eugenio Corte, quando venne rifatta via Roma. I lussuosi parati in marmo sono degna cornice alla belle vetrine, cui dà luce la copertura in vetro dell’intera Galleria. Dove ora sorge il Cinema Lux si apriva nell’800 il Caffè La Meridiana, frequentato da artisti e letterati, fra cui De Amicis.

Piazza San Carlo nasce nel 1644 in seguito alla demolizione delle mura romane che cingevano a sud la città. Precedentemente, in epoca romana, in questa zona sorgeva l’anfiteatro, dove avvenivano i combattimenti dei gladiatori, le lotte contro le belve e, addirittura, allagando il catino, si realizzavano spettacolari battaglie navali.

    Il progetto dell’odierna piazza fu affidato a Carlo di Castellamonte, che voleva creare un collegamento tra la parte antica della città e il nuovo ampliamento, che riguardava l’attuale via Roma. L’opera fu continuata fedelmente dal figlio Amedeo.

    Gli imponenti palazzi che circondano la piazza furono eretti dalle facoltose famiglie dell’aristocrazia torinese. Nei portici si succedevano colonne binate che sono state accostate a pilastri, per esigenze di consolidamento, decorati da fregi militari. L’andamento simmetrico della piazza è scandito dal ritmo lineare delle finestre. Gli intonaci sono chiari e i motivi ornamentali gialli.

    Si chiamava Piazza Reale e vi si teneva il mercato del grano e del riso ed in seguito prese il nome di Piazza d’Arme perché vi si svolgevano le esercitazioni militari, ma si manteneva una porzione della piazza come mercato. Fu danneggiata dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, ma fu ricostruita fedelmente.

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Questa piazza divide via Roma in due parti uguali e la sua numerazione civica è da sempre un mistero. E’ una delle piazze, insieme a Piazza Castello e Piazza Vittorio Veneto, dove avvengono le più importanti manifestazioni pubbliche della città.

    Gli edifici che dominano la piazza sono le due chiese gemelle di San Carlo e Santa Cristina, che rivolgono la facciata verso il centro della città. Queste chiese furono affidate rispettivamente agli Agostiniani scalzi e alle Carmelitane scalze.

    La chiesa di sinistra è consacrata a Santa Cristina , una giovane fanciulla martirizzata. Il progetto della chiesa fu affidato dalla Madama Cristina a Carlo di Castellamonte. Per attuare il disegno furono acquistati due immobili successivamente trasformati in un convento di clausura nel quale era conglobato un appartamento della Madama Cristina, in cui si ritirava per svolgere i suoi ritiri spirituali.

    Con il passare del tempo l’edificio si è arricchito di opere d’arte, ma mancava una facciata monumentale. Il progetto venne affidato nel 1715 a Juvarra che si ispirò al disegno di alcune chiesebarocche romane. La facciata, terminata nel 1718, è leggermente concava, l’ordine inferiore presenta quattro colonne, le due centrali reggono la trabeazione, sulla quale sono sedute due statue femminili; inoltre sono presenti gli alti basamenti di cinque statue. L’ordine superiore è ornato da un grande finestrone ovale e termina con un timpano triangolare sormontato da una corona e dalla croce.

    All’interno della chiesa c’è un’unica navata adorna di varie pitture. Successivamente la navata si allarga in due cappelle che raccolgono opere di notevole valore artistico. L’altare, che ha alle spalle uno degli organi più famosi della città, è una splendida opera settecentesca in marmi policromi.

    La chiesa fu trasformata in "borsa di commercio" all’epoca dell’invasione napoleonica. Vi furono lavori di restauro e le opere di abbellimento diedero alla chiesa l’aspetto attuale. Il convento non ebbe la stessa fortuna poiché venne trasformato in questura e successivamente abbattuto con l’ampliamento di via Roma.

    L’attribuzione del progetto della Chiesa di San Carlo , a destra, è estremamente difficile. La facciata, terminata nel 1836, ispirata per ragioni di simmetria a quella della vicina S. Cristina dello Juvarra, presenta due ordini sovrapposti scanditi da colonne. L’ordine superiore è ornato da un finestrone ovale, incastonato in una cornice rettangolare.

    Sicuramente più fredda di quella di Santa Cristina, la facciata appare incompleta perché, a parte due piedistalli occupati, gli altri sono tristemente vuoti. Nonostante tutto il timpano che chiude in alto il prospetto della chiesa è abbellito dal bassorilievo che raffigura S. Carlo. Ciò che interrompe l’andamento simmetrico delle due chiese è la presenza del campanile in quella dedicata a S. Carlo, che fu eretto alla fine del ‘700.

    L’interno della chiesa testimonia secolari trasformazioni ed è caratterizzato da un’ampia navata con volta a crociera. La ricchezza delle decorazioni sfiora l’eccesso e le opere d’arte sono d’epoca barocca. Percorrendo la navata, arricchita da cappelle laterali, si giunge al presbiterio che conserva tre quadri dedicati a S. Carlo Borromeo.

    In Piazza San Carlo 156, all’inizio dell’Ottocento, nacque il "Caffè di Piazza d’Arme", il primo a Torino ad adottare l’illuminazione ad idrogeno. Successivamente chiuso fu riaperto nel 1960 con il nome di "Caffè San Carlo"  ed ebbe una connotazione fortemente risorgimentale. Fu un "salotto" intellettuale frequentato da artisti, giornalisti, politici e scrittori: De Amicis, Gobetti, Gramsci, Croce, Einaudi e Giolitti.

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    Qualche passo più in là troviamo "Paissa", uno dei più forniti empori gastronomici della città.

    Il vicino "Caffè Torino"  (Piazza San Carlo, 204) è uno dei locali più raffinati; la sistemazione degli ambienti è del 1903, ma le vicende del caffè risalgono più indietro nel tempo. Presenta fregi dorati, lampadari e quadri. Nella vetrina, durante il periodo pasquale, troneggia un enorme uovo di cioccolato, tagliato a metà e decorato da riproduzioni in zucchero di angoli tipici di Torino. Attenti a non scivolare sul toro in bronzo che si trova sul marciapiede lastricato di fronte al locale!

La "Confetteria Stratta" (Piazza San Carlo, 191), aperta nel 1836 è ricca di cristalli, specchi e legni pregiati. Era frequentata in passato anche da Cavour. L’attuale proprietà ha conservato con sapienza la tradizione delle origini. La ristrutturazione della facciata esterna è del 1960.

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    Nel 1848 è stata aperta la "Libreria Bourlot", la più antica della città.

    Poco lontano, "Palazzo Solaro del Borgo" (Piazza San Carlo, 183). Il creatore è Benedetto Alfieri. La sua opera viene continuata da Giovan Battista Bonna e Filippo Castelli. Il solenne portale è affiancato da due maestose colonne e l’atrio reca traccia dello stile architettonico castellamontiano. Le sale dei piani superiori sono state ristrutturate diverse volte, e hanno accolto Paolo I , Zar di tutte le Russie .

    Alfieri ingrandisce il palazzo, realizza l’armonioso scalone d’onore e si occupa delle decorazioni interne. Gli ambienti esemplari sono il Salotto Ottagonale e la Galleria degli Specchi. Il primo presenta pareti coperte da specchi, cornici intagliate e dorate. La volta è ricoperta da elaborati stucchi dorati tra i quali volano puttini. La Galleria degli Specchi è ornata da otto medaglioni raffiguranti scene mitologiche. Di estrema eleganza sono le sedie ed i divani, le cui linee sono disegnate secondo lo stile barocchetto. La Biblioteca è all’altezza del salotto ottagonale e della Galleria degli Specchi. Nel 1839 diviene sede dell’Accademia Filarmonica. Nel dopoguerra si è installato il Circolo dei Whist (Aristocratici) fondato da Cavour.

    Procedendo troviamo il "Neuv Caval’ d’ Brôns"  (Piazza San Carlo, 155), un ristorante storico e prestigioso, con una cucina ricca di piatti regionali.

    Terminiamo con "Steffanone", gastronomia nota per formaggi e pasta fresca.

    Al centro della piazza, troviamo il celebre "Caval’ d’ Brôns", ideato da Carlo Marocchetti a Parigi per volere di Carlo Alberto. Il monumento in bronzo raffigura Emanuele Filiberto a cavallo, nell’atto di rinfoderare la spada dopo la vittoria della battaglia di San Quintino. Sul piedistallo di granito rosa vi sono due bassorilievi bronzei che ricordano questa battaglia e il trattato di Cateau Chambrésys. L’armatura del cavaliere è la fedele riproduzione di quella originale, conservata nell’Armeria Reale.

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    Palazzo Turinetti di Pertengo (Piazza San Carlo, 154) è il primo dei cinque palazzi che si susseguono dietro la facciata unica castellamontiana, che costituisce la cortina occidentale della piazza e ospita dal 1956 la sede centrale dell’antico Istituto Bancario San Paolo di Torino. I due fratelli che fecero costruire il palazzo erano figli di un insegnante di grammatica di Chieri e riuscirono a diventare l’uno ministro delle finanze e l’altro banchiere. Dalla ricchezza alla nobiltà il passo era breve e dai due intraprendenti fratelli si diramarono i Turinetti di Priero.

    Danneggiato gravemente durante l’ultima guerra, l’edificio è stato restaurato, riarredato con materiale d’epoca proveniente da altri palazzi nobiliari e adattato nel 1956 a sede centrale dell’Istituto Bancario San Paolo, la cui storia è antica di oltre quattro secoli. Ebbe inizio infatti il 25 gennaio del 1563, quando sette cittadini di Torino  fondarono una Confraternita che si proponeva di aiutare i poveri e difendere la fede cattolica, nacque così il Monte di Pietà, embrione della futura attività creditizia. Di rilievo la quadreria che l’istituto custodisce nei saloni di rappresentanza al piano nobile e una serie di mobili preziosi, tra i quali una consolle di Pietro Piffetti che costituisce il "pendant" di un’altra in Palazzo Madama e di una terza al "Victoria and Albert Museum" di Londra.

    I due palazzi successivi, Fleury (Piazza San Carlo, 160) e Pastoris (Piazza San Carlo, 162), facenti parte anch’essi del complesso bancario del Sanpaolo, sono legati ad una torbida storia di amori e intrighi degna di un romanzo d’appendice. Ne fu protagonista la favorita di Carlo Emanuele II, Jeanne Marie de Trécesson, che non disdegnava di amoreggiare contemporaneamente con il Duca e con un capitano delle Guardie, inquilino del palazzo contiguo. Una porticina segreta fra i due edifici rendeva comodi e discreti gli incontri.

    Di grande bellezza fu in passato la quarta proprietà, costituita dalla parte destra del palazzo, denominata Gianazzo di Pamparato, ora assorbita dal complesso della Banca Popolare di Novara e riadattata di conseguenza. Intorno a metà Settecento vi intervenne Benedetto Alfieri per un generale rifacimento delle decorazioni.

    Quinto ed ultimo del lato destro della Piazza San Carlo, il Palazzo Villa di Villastellone (Piazza San Carlo, 206), fu abitato dal 1772 e per cinque anni da Vittorio Alfieri. All’altezza del primo piano di questa casa, all’angolo con via Alfieri, e di quella simmetrica del San Paolo, all’angolo con via Santa Teresa, due singolari piccoli affreschi raffigurano la Sindone.

    La zona retrostante le due chiesette di S. Carlo e Santa Cristina, è la Piazza C.N.L. (Comitato di Liberazione Nazionale), aperta nel 1933 con lo stile monumentale voluto da Piacentini, l'architetto che progettò l'ultimo tratto di via Roma.

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    Qui vediamo le due fontane con statue rappresentanti il Po e la Dora. Sono due belle immagini: la figura femminile mostra forme tornite e salde e guarda verso l'uomo, dall'atteggiamento rilassato e l'aspetto di un uomo maturo dal maschio viso barbuto. Le figure sono sdraiate su basamenti squadrati di marmo grigio, da cui fuoriescono le acque che provengono, pare, dai due fiumi torinesi.

  Vicino, in via Lagrange 20, sorge Palazzo Bricherasio . Costruito con maestose linee barocche, nella prima metà del Seicento, divenne cenacolo per illustri artisti quali Delleani, Bistolfi, D'Andrade, Avondo. Un grande restauro fu portato a termine nel 1995 e, da allora, il palazzo è
diventato sede di importanti mostre quali quelle di Kandinskji, Léger, Casorati.

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    In via Cavour 8, troviamo Palazzo Cavour. Fu costruito nel 1729 dall'architetto Giangiacomo Plantéry. E' caratterizzato da una bella facciata barocca, da un ampio portale e da una sequenza di due cortili, il secondo dei quali di servizio. Begli ambienti all’interno, con arredi d’epoca, sono stati recentemente restaurati. In questo palazzo nacque e morì Cavour. L’edificio è stato adibito da poco a sede di importanti mostre temporanee.

    La Chiesa della Madonna degli Angeli è situata in via Carlo Alberto, angolo via Cavour. Nei primi anni del ‘900 la chiesa fu ristrutturata da Carlo Ceppi che eliminò le originarie forme seicentesche; conserva testimonianze artistiche di un certo interesse, tra le quali un dipinto della scuola del Procaccini, uno di Bartolomeo Caravoglia ed una statua seicentesca della Madonna precedentemente posta sulla facciata. In questa chiesa fu celebrato il funerale di Cavour.

    Ritornando in via Roma troviamo, all’estremità sud, Piazza Carlo Felice. E’ una delle piazze torinesi che nascono negli anni 1820-1830. La piazza venne iniziata nel 1823 da Lombardi e Frizzi e terminata nel 1855 dall’architetto Promis. Essa è contornata da palazzi con bei portici, che si rifanno alla classica architettura torinese, con negozi, ristoranti e alberghi. In uno di questi, nel 1950, si suicidò il celebre scrittore piemontese Cesare Pavese. Al centro della piazza vi è un gradevole giardino con un monumento dedicato a Edmondo De Amicis e una scenografica fontana, adorna di un alto getto d'acqua.

    Sulla piazza Carlo Felice si affaccia, al di là del corso Vittorio, la facciata della stazione ferroviaria di Porta Nuova, costruita da Alessandro Mazzucchetti tra il 1861 e il 1868, con l’andamento centrale ad ampio arco, con il moltiplicarsi di aperture finestrate geometriche, profondi portici al di sotto e la tipica struttura in vetro, ferro e cemento.

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    A questo punto ci allontaniamo un po’ dalla Stazione di Porta Nuova fino a raggiungere la GAM. La Galleria d’Arte Moderna  (via Magenta, 31) raccoglie le collezioni d’arte moderna del Museo Civico, che erano collocate in un padiglione, situato nello stesso luogo dove ora sorge la GAM, che venne distrutto durante la seconda guerra mondiale.

    L’edificio odierno fu inaugurato nel 1959 e recentemente è stato ristrutturato e riaperto al pubblico nel 1993. Vi sono 5000 dipinti, 400 sculture e la biblioteca specialistica, annessa all’edificio, conta 30.000 volumi. Le opere esposte in permanenza sono più di 700. Nel 1998 è stato attuato un piano di rilancio della GAM nel quale è prevista anche un’acquisizione di opere importanti e l’inaugurazione periodica di grandi esposizioni temporanee.

    Il percorso espositivo inizia al II° piano, nel quale viene proposta l'arte dell'Ottocento, con un particolare risalto a Fontanesi e ad altri pittori piemontesi come Massimo D’Azeglio e Pellizza da Volpedo.

    Al I° piano si trovano le opere dei grandi maestri italiani del nostro secolo come Balla, Modigliani, Guttuso, Casorati, De Chirico, De Pisis. Il padiglione dedicato all'arte contemporanea consta di una selezione di opere degli anni settanta e dell’arte Povera. La sezione dedicata agli artisti stranieri è stata notevolmente ampliata dagli acquisti dell’ultimo trentennio e vi si possono trovare autori del calibro di Klee, Renoir, Chagall.

    E’ importante la raccolta di sculture: Canova, Vela, Martini e molti altri. Recentemente sono state accolte mostre importanti quali quelle di Chagall, Fontanesi, Pellizza da Volpedo, Hans Hartung.

    Vicino, in via Bricherasio 8, il Museo Civico di Numismatica, Etnografia e Arti Orientali . Al suo interno sono presenti tre collezioni di monete e medaglie che raccolgono circa trentamila pezzi ciascuna. La prima fu curata da Carlo Alberto e posta nella Sala del Medagliere di Palazzo Reale. La seconda fu inserita all’interno del Museo di Antichità; a questa si aggiunse la collezione Drovetti e quella Lavy. La terza era di proprietà del municipio. Secondo il parere di Pietro Giuria unendo queste tre collezioni il patrimonio numismatico torinese sarebbe diventato uno dei più ricchi d’Europa. Il Museo Numismatico fu inaugurato nel 1989 e racchiuse le tre collezioni. Nel palazzo sono ospitati anche reperti etnografici e collezioni di arte orientale.

    Ritorniamo sui nostri passi e in via Arsenale 22 incontriamo Palazzo dell’Arsenale. Il grandioso edificio è l’esempio visivo della preminenza e della maestosità della funzione militare torinese. Lo volle, a metà del Seicento, Carlo Emanuele II, ma i muri attuali risalgono a quasi cent’anni dopo, tra il 1732 ed il 1748, opera dell’ingegnere Antonio Felice Devincenti. L’Arsenale di Torino fu celebre in Europa come prestigioso centro di tecnologia e arte militare, spesso paragonato a quello di Berlino. Però non fu soltanto una scuola di guerra, ma anche un laboratorio scientifico, in cui vennero svolte nel Settecento progredite ricerche sulle polveri da sparo e sui cannoni.

    La Chiesa dell’Immacolata Concezione (via Arsenale, 18) è la chiesa dell’Arcivescovado, con facciata su via Arsenale. Piccola e bella, è attribuita a Guarino Guarini. All’interno vi è un interessante affresco, opera di Giovan Battista Crosato. Nel 1988 è stata restaurata in occasione della visita del Papa a Torino, nel centenario della morte di Don Bosco.

    La Chiesa della Visitazione (via XX Settembre, angolo via Arcivescovado) è considerata il capolavoro di Francesco Lanfranchi, che la costruì tra il 1657 e il 1660, sfruttando l’incrocio tra le due strade e coronandola con un alto tamburo. La cupola presenta dipinti di Milocco; la volta del presbiterio fu dipinta da Louis Vannier. L’altare maggiore reca una tela del pittore settecentesco Ignazio Nepote, mentre l’altare della cappella di sinistra è su disegno di Juvarra. Come esempi dell’arte piemontese da notare il portale, l’organo ed il pulpito intagliato e dorato.

    Visitiamo poi Palazzo Lascaris (via Alfieri, 15). Nel 1665 Amedeo di Castellamonte dà vita ad un palazzo inconsueto e fantasioso costituito da finestre e ornamenti diversi sui tre piani, il portale a colonne inanellate sporgenti verso la strada ed un atrio elegante e nervoso. Nel 1803 viene ceduto ad una famiglia, i Lascaris di Ventimiglia che vantavano un illustre antenato: il Corsaro Nero, il leggendario eroe cavalleresco di Salgari. Sul finire dell’Ottocento sono state apportate al Palazzo numerose trasformazioni in stile barocco. Oggi è sede del Consiglio Regionale del Piemonte.

    Nei pressi di Palazzo Lascaris vi sono edifici di origine settecentesca: Palazzo Trucchi di Levaldigi (via XX Settembre angolo via Alfieri) di Amedeo di Castellamonte. Si noti il portone fatto scolpire a Parigi, detto "la porta del diavolo" poiché vedendolo comparire da un giorno all’altro, il popolo lo ha ritenuto opera sovrannaturale.

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    Altro palazzo è quello degli Argentero di Bersezio (via Alfieri, 7), poi dei Perrone di S. Martino. Il prestigio del palazzo fu all’altezza delle due famiglie, Argentero e Perrone, che lo abitarono. In epoca risorgimentale nel palazzo ebbe sede la Legazione di Francia. L’edificio è stato ricostruito in stile neo-barocco e lo scalone fu rifatto impiegando i marmi di quello preesistente, di cui conserva l’ariosa solennità.

    La Chiesa di Santa Teresa (via Santa Teresa, 7) è sul piano storico e su quello artistico una delle chiese più importanti della città, legata ancora una volta al ricordo di Madama Cristina, di artisti celebri come Juvarra e Piffetti e ad un personaggio singolare, l’architetto da cui fu realizzata.

    La costruzione fu affidata infatti, nel 1642, ad Andrea Costaguta, un Carmelitano di Chiavari assai vicino a Cristina, sia come architetto che come religioso, e forse più ancora come uomo di intrighi e maneggi politici. Tra queste ed altre occupazioni, il frate architetto portò avanti il cantiere fino al 1653, quando non risulta più a Torino, ma a Genova, rinchiuso nel carcere dell’Inquisizione per il suo carattere "troppo ardito". In seguito subentrò un altro padre carmelitano, Alessandro Valperga.

    La facciata fu inaugurata nel 1764 e la cupola venne terminata nell’Ottocento. L’interno è a croce latina, a navata unica coperta da volta a botte e cupola sopra l’incrocio dei bracci della croce.

    Le cappelle sono tre per ogni lato, ed altre due in fondo ai bracci del transetto. Di queste ultime quella di sinistra, la Cappella di San Giuseppe, è il luogo artisticamente più significativo della chiesa. Fu interamente disegnata da Juvarra, mentre Simone Martinez, nipote dell’architetto, realizzò la statua in marmo di San Giuseppe in gloria con Gesù Bambino, collocata in una scenografia di figure allegoriche, putti e nuvole attraversate da raggi dorati. Di Filippo Juvarra è anche l’altare della opposta Cappella della Sacra Famiglia, con angeli e putti scolpiti da Antonio Tantardini.

    Gli affreschi della cupola sono ottocenteschi, di Luigi Vacca. La prima cappella a destra ospita la tomba di Madama Cristina, qui trasferita in età napoleonica dalla chiesa di Santa Cristina, dove era stata sepolta al momento della morte.

    Il Museo della marionetta , situato in via S. Teresa 5, fu inaugurato nel 1979. Al suo interno si possono trovare marionette e scenografie risalenti al Settecento. Attraverso i costumi e i cimeli raccolti si può ricostruire la storia, dalle origini fino ai giorni nostri, di un’antica e celebre famiglia di burattinai, i Lupi. Questo museo per la sua originalità è unico in tutta Italia.

    Palazzo Ricca di Coassolo o Compans di Brichanteau (via Santa Teresa, 10) è opera di Filippo Juvarra nel 1730, per il protomedico di Vittorio Amedeo II, Pietro Paolo Ricca. L’architetto incorporò parzialmente nel nuovo edificio un preesistente palazzo seicentesco, del quale sono venuti in luce i solai durante lavori negli anni ’30 del nostro secolo. La facciata, l’atrio e lo scalone a forbice recano la sigla dell’artista messinese, mentre diverse trasformazioni per ricavare abitazioni e uffici hanno modificato la disposizione degli ambienti interni. Il piano terra e il sotterraneo hanno ospitato il teatro intitolato ad Erminio Macario.

    Più avanti incontriamo il Palazzo Provana di Collegno (via Santa Teresa, 20). La paternità del disegno è assegnata al Guarini, anche se l’edificazione incominciò nel 1687, quando l’architetto era morto da quattro anni. L’androne, voltato a vele, si dilata nel bellissimo atrio ritmato da otto colonne disposte in pianta ellittica che salgono ad una volta nervata da un intreccio di costoloni di spirito nettamente guariniano. A sinistra si apre lo scalone d’onore che porta al grande salone (interamente ricoperto di decorazioni pittoriche ottocentesche). Il fasto e l’originalità del palazzo corrispondono al prestigio della famiglia che lo fece costruire, i Provana di Collegno, di origini antichissime e fedelissimi dei Savoia. Andrea Provana di Leynì nel Cinquecento era stato compagno d’armi di Emanuele Filiberto e aveva comandato la piccola ma valorosa flotta sabauda nella battaglia di Lepanto. I Provana di Collegno si sono estinti in linea maschile nel 1991 con il conte Umberto Provana, colto custode di memorie piemontesi, rappresentante in Italia di Umberto II. L’antico edificio è ora in gran parte occupato da una scuola privata.

    A pochi passi dal Palazzo Provana di Collegno, subito dopo l’incrocio con via dei Mercanti, si trova la Chiesa di San Giuseppe, il cui architetto è Carlo Emanuele Lanfranchi. All’esterno si presenta come un edificio insignificante e soffocato dalle case intorno; all’interno, invece, custodisce stucchi dorati, interessanti dipinti di Taricco e numerose statue.

Torino_Itinerario 1
Torino_Itinerario 2
Torino_Itinerario 3

1 commento:

Anonimo ha detto...

complimenti per questo post uno dei belli mai letti. spero sia così anche per gli altri due. un cordiale saluto da Mauruzio

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