Parlare della Manifattura Tabacchi di Torino è un tuffo nel passato, e un salto nella storia industriale Piemontese.
Nella zona Nord della città di Torino, alla confluenza dei fiumi Dora, Stura e Po, sorge il Palazzo del Viboccone, voluto dal duca Emanuele Filiberto, intorno alla metà del XVI secolo, come podere per l’allevamento e luogo di svago.
Nel 1580 Carlo Emanuele, dopo aver affidato al Moncalvo gli affreschi delle sale, riserva il palazzo esclusivamente a residenza di ricreazione.
Danneggiato durante gliassedi francesi del 1640 e del 1706, l'edificio rinasce nel 1768 su progetto dell'architetto Benedetto Ferroggio con altre finalità: come stabilimento della Regia Fabbrica del Tabacco, è destinato a ospitare i processi di triturazione del tabacco, affiancando il più ampio stabilimento di via della Zecca(l'attuale Via Verdi), nel centro cittadino, dove si eseguono le altre fasi del ciclo produttivo.
La Manifattura Tabacchi, con i suoi 600 dipendenti, in gran parte donne, (250 al Regio Parco e 350 in via della Zecca) diventa nella prima metà del XIX secolo una delle più importanti realtà produttive della città.
Nel 1855, in seguito a un incremento dei consumi del tabacco, il Governo sabaudo decide di concentrare in un unico complesso tutti i processi produttivi, con lo scopo di ottenere maggiori quantità di prodotto a costi minori. Un progetto di legge decreta quindi il trasferimento di quasi tutte le lavorazioni nell'opificio del Regio Parco, mentre i locali di via della Zecca sono utilizzati fino agli anni Novanta dell'Ottocento per ospitare alcune fasi di lavorazione dei sigari prima di essere, successivamente, destinati a magazzini.
Dopo l'Unità d'Italia la fabbrica registra un rapido processo di crescita, avviandosi a diventare la seconda per importanza sulle quindici manifatture presenti nella penisola: nel 1869 il numero complessivo di personale impiegato nelle due sezioni di Regio Parco e via della Zecca ammonta a 2.140 unità. Nel 1873 i dipendenti sono 2.246, ma è due anni più tardi, nel 1875, che la fabbrica raggiunge la punta massima per numero di addetti: 2.500 tra operai e impiegati.
Caratteristica della manifattura torinese è la preponderanze di personale femminile, più numeroso rispetto a quello maschile: le cosiddette sigaraie, addette al confezionamento manuale dei sigari, diventano così la figura professionale dominante nella fabbrica.
Negli anni Ottanta del XIX secolo alla lavorazione dei sigari e del trinciato da pipa si affianca anche quella della "spagnoletta", l'attuale sigaretta, il cui consumo inizia ad essere introdotto in Italia su vasta scala.
Questo nuovo tipo di produzione comporta una modifica strutturale dell'azienda con l'ampliamento degli edifici e un aumento dei cicli di lavorazione meccanica che tendono sempre più a sostituire quella manuale.
Al potenziamento segue, a partire dal 1890, il trasferimento nell'edificio del Regio Parco di tutte le lavorazioni precedentemente svolte in quello di via della Zecca, definitivamente abbandonato nel 1895.
Nei primi anni del Novecento la Manifattura è oramai una comunità pressoché autonoma, capace, quasi ne fosse una sua appendice, di stabilire un legame diretto con il territorio circostante, dal quale proviene gran parte della forza lavoro.
La fabbrica presenta al suo interno un distaccamento della Guardia di Finanza, officine e falegnamerie meccaniche attrezzate, mense per i dipendenti, un raccordo ferroviario che permette l'ingresso dei vagoni dallo scalo merci di Torino Vanchiglia all'interno dei fabbricati, locali di svago come un cinema teatro, una sala biliardo, un bar, un asilo nido che, a partire dal 1 ottobre 1907, accoglie i figli dei lavoratori fino ai tre anni di età, e degli alloggi per i dipendenti.
A queste strutture se ne aggiungono altre realizzate in epoca giolittiana, soprattutto in funzione delle necessità dei lavoratori: la scuola materna Umberto I e la scuola elementare rurale del Regio Parco, che nel 1920 muta il proprio nome in Giuseppe Cesare Abba.
La prevalenza di manodopera femminile all'interno dell'organico della Manifattura Tabacchi continua ad essere una costante anche nel primo ventennio del Novecento: 793donne su un totale di 946 operai nel 1907, 728 su 1.917 nel 1913, 1.027 su 1.993 operai nel 1921 e ancora 1436 su 1706 nel 1925.
Una tendenza che non muta nemmeno negli anni successivi come dimostrano i dati relativi agli organici della fabbrica negli anni Trenta e in quelli del primo dopoguerra: 1087 su 1300 nel 1931, 774 su 996 nel 1934, 1088 su 1320 nel 1939 e 1141 su 1526 nel 1946.
Uomini e donne svolgono all'interno dello stabilimento mansioni e lavori differenti, tanto da poter affermare che esiste tra i lavoratori un'assoluta attribuzione e differenziazione dei compiti in base al genere: le fasi specifiche e caratterizzanti la fabbricazione dei prodotti sono ad appannaggio del personale femminile, mentre quello maschile si occupa prevalentemente della conduzione di macchinari o di occupazioni di altro tipo, isolate però dalla produzione vera e propria.
È soprattutto la lavorazione dei sigari a richiedere un numero elevato di manodopera femminile: non è infatti un caso che la maggior parte delle donne dello stabilimento siano
occupate come sigaraie. Responsabili del confezionamento dei sigari, lavorano in grandi stanzoni, sedute le une accanto alle altre, lungo banconi collocati per file parallele e hanno a disposizione una tavoletta di legno sulla quale preparare il prodotto, una ciotola contenente pasta d'amido da spalmare sulle fasce e un coltello a lama ricurva che serve a sezionare la foglia e spuntare la testa dei sigari finiti.
Tra il personale femminile vi sono anche figure adibite a mansioni di tipo impiegatizio: le scrivane. Comparso in fabbrica intorno ai primi anni del Novecento, quello delle scrivane è un gruppo professionale soggetto a pratiche discriminatorie che si manifestano, soprattutto, nell'importo degli stipendi.
Infatti le scrivane, addette fondamentalmente allo svolgimento di compiti di natura scritturale e amministrativa, seppur munite di sufficiente scolarizzazione, della conoscenza del francese e della licenza tecnica e commerciale, percepiscono salari nettamente inferiori a quelli degli impiegati maschi, ma comunque superiori rispetto ai guadagni della grande massa delle donne costituita dalle operaie.
Le donne sono occupate anche nelle altre due fasi necessarie alla lavorazione dei sigari, lo spulardamento, ovvero la selezione delle foglie più adatte alla lavorazione dei sigari sottoposte, in un secondo tempo, a operazioni chimiche che le rendono aromatiche e combustibili e la scostolatura, un'operazione che consiste nel privare le foglie della nervatura mediana separando poi i lembi integri da usare come fasce esterne del sigaro, da quelli laceri da usare come ripieni.
È solo dopo il completamento di queste operazioni che può iniziare il vero e proprio processo di confezionamento dei sigari affidato, come si è visto, alle sapienti mani delle sigaraie.
Il personale maschile della Manifattura, occupato in gran parte nella gestione dei macchinari, è costituito da lavoratori stabili, stipendiati con paga fissa e non a cottimo.
Il regolamento interno dell'azienda li raggruppa in quattro diverse categorie professionali: gli artieri (falegnami, elettricisti, fabbri, muratori, fuochisti, meccanici e tornitori), gli operai comuni (manovali, braccianti), gli agenti subalterni (sorveglianti e capi operai) e gli impiegati
Gli artieri sono assunti per concorso in base a saggio professionale e sottoposti a un periodo di prova di trecento giorni.
Le stesse prerogative sono richieste anche per la categoria degli operai comuni che costituisce la maggioranza del personale maschile. Ognuno di loro non è in realtà assegnato a una particolare lavorazione, ma muta i propri compiti giornalmente, a seconda delle esigenze della fabbrica. L’alto grado di specializzazione è invece un requisito indispensabile per gli operai tecnici, personale qualificato e dotato di una buona esperienza lavorativa, spesso accumulata in altri opifici prima di essere assunti in Manifattura.
Gli agenti subalterni, una categoria intermedia tra operai e impiegati, sono inquadrati in due grossi gruppi: il personale tecnico esecutivo e il personale di custodia.
Del personale tecnico esecutivo fanno parte i macchinisti, che si occupano dei meccanismi di ogni macchinario usato nella fabbrica per trattare i tabacchi; gli aiutanti tecnici, che sorvegliano i capi operai, vigilano sulla buona esecuzione dei lavori e tengono il registro dei movimenti dei tabacchi; i capi operai, che assegnano il lavoro e ne sorvegliano la corretta esecuzione; e i sorveglianti, con compiti di vigilanza all’interno del personale operaio.
Nel personale di custodia rientrano l'inserviente di uffizio, per la custodia e la pulizia dei locali ad uso degli uffici; il portinaio, che alloggia nell'edificio assicurando che nessun estraneo acceda allo stabilimento; e il visitatore, che esegue visite di controllo agli operai in uscita per evitare indebite sottrazioni di tabacco.
Gli impiegati della Manifattura Tabacchi e non espletano mansioni di tipo burocratico come i loro pari grado occupati in altri servizi statali: svolgono incarichi amministrativi fino alla fine dell'Ottocento e, dall'inizio del Novecento, con l'assunzione delle prime scrivane, si indirizzano verso compiti di tipo tecnico, oppure relativi alla verifica e alla sorveglianza delle attività produttive, raggiungendo così livelli di carriera superiori.
A partire dagli anni Venti del XX secolo inizia per lo stabilimento del Regio Parco un lento declino, che si traduce in una progressiva riduzione del personale, prime tra tutte le sigaraie.
I dati relativi all'organico evidenziano infatti come si passi dai 1.993 operai del 1921 ai 1.430 del 1926 con la conseguente diminuzione delle sigaraie da 1.027 a 598 unità, mentre il numero delle operaie addette alla produzione delle sigarette rimane stabile (455 nel 1921 e 424 nel 1926).
I livelli occupazionali della Manifattura seguono in realtà l'evolversi dei consumi del tabacco: infatti negli anni Venti la richiesta di sigarette supera quella dei sigari e quindi, gradualmente, la figura della sigaraia si avvia all'estinzione.
La flessione degli occupati appare ancora più consistente negli anni Trenta. Il numero dei dipendenti inizia a risalire solamente dal 1937 quando, in seguito alle modifiche introdotte dal regime fascista, riprendono le assunzioni, aumentano gli addetti (1.145 unità nel 1937, 1.222 nel 1938 e 1.320 nel 1939) e si assiste all'introduzione su vasta scala di macchinari per la lavorazione delle sigarette che comportano mutamenti profondi, primo tra tutti la spersonalizzazione del lavoro, che perde quasi del tutto la propria valenza artigianale.
Muta così la figura della lavoratrice, che si trasforma da artigiana a operaia comune, poiché ora è la macchina a sostituire le abili dita delle donne nell’impasto del tabacco, la cui produzione resta comunque la principale attività dello stabilimento fino al termine del secondo conflitto mondiale.
La guerra lascia le sue ferite anche sul complesso del Regio Parco, danneggiato pesantemente dal fuoco dei bombardamenti alleati che nella notte del 13 luglio 1943 distruggono quasi completamente l'intero cortile dell'edificio insieme a gran parte dei macchinari, delle attrezzature e delle materie prime fondamentali, provocando una drastica riduzione del ciclo produttivo.
Al termine del conflitto, nell'ambito di un programma di ricostruzione industriale portato avanti dal Governo e dal Monopolio di Stato, la Manifattura Tabacchi è interamente restaurata, e riceve nuove attrezzature in grado di sostituire le operazioni manuali, consentendo così una maggiore economia nel ciclo produttivo.
La fabbrica riprende la produzione e fa registrare un incremento della manodopera che raggiunge le 1.526 unità nel 1946 (1.141 operaie, 318 operai e 67 impiegati), diventate 1.570 nel 1948 e 1.281 nel 1952, quando inizia per l'azienda una parabola discendente che porta nel 1960 alla chiusura del reparto del trinciato da pipa e dei sigari.
A restare attiva è solamente la lavorazione delle sigarette, oramai eseguita con macchinari moderni che provocano la totale scomparsa della figura della sigaraia. In fabbrica restano così poche centinaia di dipendenti: 400 negli anni Ottanta che si riducono a 180 nel 1996 quando, il 19 marzo, l'antico stabilimento cessa definitivamente l'attività produttiva.
Mirò
Fonte: Storia e cultura dell’industria
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