Protagonista della stagione di conflitti degli anni Settanta è la maestranza della grande fabbrica, in particolare la sua componente più giovane, più dequalificata e adibita alle lavorazioni più monotone e faticose (coincidente con la definizione - piuttosto sbrigativa - di "operaio massa").
Le priorità rivendicative e la modalità delle agitazioni di questo periodo, entrambe innovative rispetto alla tradizione del sindacato italiano, rispecchiano fedelmente le aspettative e gli atteggiamenti di queste figure.
Aumenti salariali uguali per tutti, passaggi automatici di categoria, lotta alla nocività e contestazione dell'organizzazione del lavoro.
Sono questi i temi ricorrenti nelle piattaforme sindacali, sostenute con il ricorso a forme di lotta di grande impatto e visibilità quali i cortei interni e le manifestazioni pubbliche.
Grazie alla vasta eco mediatica e agli esiti generalmente positivi delle agitazioni, gli obiettivi e i comportamenti di protesta delle avanguardie di fabbrica fanno breccia anche nei settori più moderati del mondo del lavoro (impiegati, addetti ai servizi) fino a coinvolgere anche quelli fino ad ora estranei alla regolazione per via sindacale della condizione di lavoro (il pubblico impiego).
Ne risulta una conflittualità permanente e diffusa, che si giova anche delle tutele sindacali introdotte dalla legge 300 del 1970, lo "Statuto dei lavoratori".
Il movimento ha il suo centro nelle grandi aziende (ad esempio Fiat , Riv, la Olivetti , Pirelli, Nebiolo , Facis) dove intanto le vecchie commissioni interne sono state sostituite dai "consigli dei delegati”, eletti con votazione su scheda bianca in ogni reparto o ufficio.
La decisione di rinnovare la rappresentanza nei luoghi di lavoro e di favorire la partecipazione di base è la prima risposta delle confederazioni sindacali - che ora agiscono unitariamente - alla mobilitazione sociale innescata dall'autunno caldo.
Il passo successivo punta a incanalare la combattività operaia verso obiettivi di riforma della società e dell'economia, dando corpo a una strategia che si ispira alla parola d'ordine "Dalla fabbrica alla società".
L'apertura delle "vertenze generali" sulla casa, la sanità, il fisco, gli investimenti nel Meridione inaugura la stagione della "supplenza sindacale", ovvero dell'ingresso del sindacato in un'area tradizionalmente riservata all'azione dei partiti.
Questa ingerenza contribuisce però a indebolire i già precari equilibri politici dell'epoca, favorendo il diffondersi di un clima di incertezza e instabilità.
Esso ha origine nelle crescenti difficoltà del sistema industriale, dove le lotte operaie hanno fatto venir meno due requisiti essenziali del miracolo economico: il basso costo del lavoro e la pace sociale negli stabilimenti
I vincoli posti all'impiego della forza lavoro, inoltre, impediscono alle imprese di far fronte con interventi organizzativi alla perdita di competitività, esponendole al rischio di venire emarginate da un mercato già perturbato dalle recenti crisi petrolifere.
Nelle posizioni sindacali dell'ultima parte del decennio si avvertono dei segni di moderazione, suggeriti anche dai primi sintomi di stanchezza manifestati dai settori più moderati del movimento.
A rafforzare negli imprenditori (e in una parte consistente dell'opinione pubblica) la volontà di reagire contribuiscono, alla fine degli anni Settanta, un'impennata violenta delle agitazioni in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici e i segnali sempre più evidenti dell'infiltrazione terrorista nei luoghi di lavoro.
È la Fiat, che nel settembre 1979 ha registrato l'uccisione di un suo dirigente, Carlo Ghiglieno, a dare un primo segnale allontanando 61 lavoratori accusati di violenze durante gli scioperi.
L'anno seguente l'obiettivo di ristabilire la governabilità dell'ambiente di fabbrica prende la forma di un drastico intervento per ridurre e razionalizzare l'occupazione. L'annuncio di oltre 14 mila licenziamenti scatena una lotta che, dopo 35 giorni di presidio degli stabilimenti, viene decisa dalla "marcia dei 40 mila", espressione di quell' area grigia" da tempo insofferente del radicalismo delle avanguardie sindacali.
Mirò
Fonte: Storia e Cultura dell’Industria
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