mercoledì 15 dicembre 2010

Storia del sindacato in Piemonte 9/9 – Dagli anni ottanta al nuovo millennio

L'accordo che chiude la lotta dei 35 giorni con la sospensione di 23 mila dipendenti viene vissuto dalla parte più militante del sindacato come una bruciante e irreparabile sconfitta. Inoltre, i dirigenti nazionali saliti a Torino per illustrare i termini dell'intesa vengono duramente contestati dall'assemblea dei delegati.

Questi avvenimenti contribuiscono a spegnere le tensioni e ad accelerare il ritorno alla normalità produttiva: si riducono fino a scomparire gli episodi di microconfittualità mentre l'assenteismo, giunto a sfiorare negli ultimi anni il 15%, rientra nei limiti fisiologici del 3%.

Il pullman FLM davanti alla Fiat Mirafiori. Torino, 1980. Fondazione Vera Nocentini, Torino [pdf]

Il declino degli operai industriali non è soltanto il frutto della sconfitta sindacale ma anche della crisi del modello di sviluppo simboleggiato dalla grande fabbrica taylorista.
Già durante gli anni Settanta l'occupazione nella grande industria diminuisce notevolmente, innescando una tendenza destinata ad accentuarsi: alla fine del decennio le imprese cominciano a fare ricorso al decentramento produttivo o all'automazione degli impianti, nel tentativo di sfuggire ai vincoli imposti da una maestranza indocile e combattiva.

L'effetto concomitante del riflusso sindacale e del calo occupazionale provoca una generalizzata contrazione della conflittualità, che per tutti gli anni Ottanta si attesta su livelli di poco superiori a quelli del miracolo economico.

Mutano anche le priorità dell'azione rivendicativa che assume un carattere prevalentemente difensivo e viene chiamata prevalentemente a contrastare quei provvedimenti (riduzioni d'organico e ristrutturazioni) con cui il sistema delle imprese tenta di fronteggiare la crisi dell'economia italiana dal 1980 al 1984.

Il cambiamento è particolarmente vistoso in Piemonte, dove il pesante calo dell'occupazione (-6,8% nel biennio 1981-1982) e il massiccio ricorso alla cassa integrazione (nel 1982 vi sono coinvolte 378 aziende con oltre 54 mila dipendenti) testimoniano la pesantezza di una crisi che, irradiandosi dalle grandi imprese, finisce per coinvolgere tutto il tessuto economico della regione.

Dopo l'effervescenza generata dall'autunno caldo, il sindacato agisce ora negli spazi angusti dettati dalle crisi aziendali, cercando di limitarne le ripercussioni sui lavoratori e accettando talvolta di siglare accordi peggiorativi di quelli pattuiti in precedenza.

Intervento di Lucio Magri all'Assemblea Nazionale dei Comunisti del Gruppo Fiat. Torino, 1981. Fondazione Vera Nocentini, Torino [pdf] A distendere il clima delle relazioni industriali contribuisce, alla fine del decennio, un'evoluzione nelle politiche del personale dettata dalla necessità di promuovere la partecipazione dei lavoratori (e del sindacato) ai progetti per migliorare la qualità e la flessibilità della produzione.

L'attività sindacale viene valorizzata dalle nuove filosofie manageriali e inquadrata per la prima volta in un sistema di regole e procedure condivise fissate con l'accordo del luglio 1993.
Tuttavia, continua a risentire delle divisioni interne (per molti anni gli accordi aziendali Fiat non verranno firmati dalla Fiom-Cgil) e di un debole radicamento nei luoghi di lavoro

In queste condizioni il sindacato non può che offrire un limitato contributo all'arginamento delle crisi che, a cavallo del millennio, investono i punti cruciali del sistema industriale piemontese.
Dalla Olivetti, il cui marchio viene cancellato nel 2003, al polo tessile biellese, incamminato lungo un lento ma inarrestabile declino, fino alle numerose imprese del cuneese, forzate a legare la propria sopravvivenza a drastici ridimensionamenti o all'inglobamento in gruppi industriali stranieri (Alstom, Burgo).

La vicenda più drammatica ha ancora una volta come protagonista la Fiat, costretta nel 2002 a contrarre un oneroso prestito con il sistema bancario per far fronte a un'emergenza finanziaria che sembra preludere al tramonto irreversibile della maggiore impresa industriale italiana.
Ipotesi ampiamente -e fortunatamente- smentita da una ripresa tanto rapida quanto imprevista che, sul versante sindacale, ha segnato la chiusura di una stagione segnata dalla contrattazione su esuberi e cassa integrazione.

La svolta positiva nella grande impresa torinese appare al momento isolata: secondo i sindacati regionali, nel solo comparto metalmeccanico vi sono 57 aziende in difficoltà e i posti a rischio assommano a 3500 (dati riferiti al 2005/2006).

Help desk del CSI-Piemonte per gli enti pubblici piemontesi. Ivrea (TO), 2002. CSI-Piemonte, Torino [pdf]Del resto, la transizione "dall'economia della manifattura all'economia della conoscenza" è da tempo in corso anche in Piemonte. Lo conferma il costante aumento dell'occupazione nel terziario che, dopo aver superato quella nell'industria all'inizio degli anni Novanta, rappresenta oggi il 59% del totale e continua a fornire il contributo maggiore alla modesta crescita (+ 1,8%) della popolazione attiva.

Questo incremento è in buona parte costituito da impieghi "atipici" (part time, contratti a termine, ecc.), condizione che riguarda il 90% dei lavoratori nella fascia d'età fino ai 25 anni. Insieme a quelli originati dalle ricorrenti crisi aziendali, i problemi legati a queste nuove modalità di lavoro - precarietà, tutele ridotte, scarsezza e incertezza del reddito percepito - costituiscono materia prevalente dell'iniziativa attuale del sindacato.

Si tratta di una sfida difficile ma decisiva per un'organizzazione "invecchiata" (in Piemonte i circa 800 mila iscritti alle tre confederazioni sono per la metà pensionati) chiamata a confrontarsi con gli interessi variegati di mondi e mercati del lavoro sempre più frammentati.


      Mirò


Fonte:Storia e Cultura dell’Industria

Nessun commento:

Posta un commento