La Garitta del Diavolo del Forte di Fenestrelle è il luogo adatto per una leggenda dove è presente la “Maschera di ferro”, ci scappa il morto e si sente la puzza di zolfo…..
Nonostante il grosso impatto emotivo che si prova di fronte alla vista del forte di Fenestrelle, esperienza che doveva essere ancor più sentita nel passato quando la gente era sicuramente meno avvezza al grandioso, non c'è stata una grossa attività elaborativa di fantasia in merito, tradottasi poi in racconto.
Indubbiamente la tutto sommata giovane età del manufatto (tre secoli scarsi e l'assenza di avvenimenti appetibili dalla leggenda) hanno in parte condizionato questa mancata produzione, ma nulla vieta di pensare che la continua riscoperta e valorizzazione di questo gigantesco complesso fortificato, il recupero o la rilettura di documenti sulla sua storia e sulle vicissitudini dei suoi ospiti forzati, illustri o meno che fossero, ed il suggestivo contesto naturale che lo accoglie, non diventino stimolo per "nuove" fantasie, racconti, proposte e chissà quant'altro.
(La Garitta del Diavolo, punto di avvistamento eretto a strapiombo su una rocca alta 20 metri. )
L'unica leggenda sul forte, di cui si ha "attualmente" conoscenza, fa riferimento ad una delle più piccole costruzioni del complesso, ma con tutte le premesse e le caratteristiche per meritare "giustamente" un simile interessamento: la Garitta del Diavolo, una torretta tozza e bassa, ma che dalla sua posizione, su di un impervio roccione a monte del forte Tre Denti, fungeva da efficace osservatorio strategico per il tratto medio-alto e per quello alto della Val Chisone.
La sua denominazione ricorderebbe non tanto il costruttore di questo ardito manufatto, quanto piuttosto colui che di notte vanificava lo sforzo lavorativo degli uomini, alla fine comunque vincitori. Questa singolare attribuzione ci dà dunque la misura di che cosa dovette significare il portare a termine un simile progetto, su di un sito impossibile e continuamente spazzato dai venti. Se i presupposti narrativi furono l'audace scelta del luogo su cui erigervi l'osservatorio, le difficoltà incontrate durante i lavori e curiosamente anche l'odore di zolfo che si avvertiva nei pressi della garitta e che proveniva dal suo utilizzo nel cantiere, il ricorso alla figura del diavolo nel ruolo di antagonista o in quello di colpevole "espiatorio" (in un'altra versione) del procedere difficoltoso, si rifà indubbiamente alla tradizione classica della leggenda, in parte rafforzatasi nel periodo romantico, probabile contesto storico e culturale in cui potrebbe essersi delineato il racconto.
Un aneddoto di sapore leggendario "indirettamente" relativo al forte, venne riportato da E. De Amicis nel suo lavoro "Alle Porte d'Italia", nelle pagine dedicate proprio a questa fortezza. Il protagonista è un umile asino cieco, adibito al trasporto di vettovagliamenti lungo la ripida scala coperta, e che, nonostante la sua menomazione, compiva più volte al giorno questo faticoso percorso in salita ed in discesa senza rompere nulla.
L'interessamento della leggenda per i forti fenestrellesi era però cominciato con il Fort Mutin, i cui resti, quando la vegetazione non li soffoca del tutto, sono ancora visibili proprio sul versante opposto del più celebre forte. A parlarcene fu Trivero Quirino nella sua Storia di Pinerolo, edita nel 1890 , ambientando in questo forte la momentanea prigionia della Maschera di Ferro, durante il suo trasferimento ad Exilles, a seguito di un suo tentativo di fuga dalla prigione sotterranea sotto il campanile del Duomo di Pinerolo .Proprio mentre si trovava al Mutin, egli avrebbe scritto su di una striscia di lenzuolo la sua tormentata vicenda, lanciandola poi ad un valligiano da una finestra della sua prigione. L'indomani, quest'ultimo veniva però trovato morto accoltellato, poco lontano dal forte,e subito si procedeva ad una partenza immediata del prigioniero.
Sull'assassino e sul perchè di quel crimine anche la leggenda non ha mai saputo dare una risposta. Purtroppo (per la leggenda) all'epoca dei fatti narrati, il Mutin non esisteva ancora; forse, al posto, c'era una costruzione "provvisoria", usata da chi doveva controllare il passaggio di chi scendeva o risaliva la valle.
Mirò
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