giovedì 17 marzo 2011

Canté j euv (Cantare le uova) – tra Langhe e Monferrato

Quella del cantare le uova (cantè j euv) è un’usanza, questa, che per tanti anni era stata dimenticata ma oggi grazie a gruppi di giovani si può di nuovo ammirare (e subire) sulle colline tra le Langhe e il Monferrato .

Ma perché proprio questo prodotto (j’euv) doveva essere cantato e non invece altri?

La causa è di ordine strettamente pratico. In casa si è sempre cercato di consumarne poche. Meglio portarle al mercato e tramutarle in zoccoli, pane, vestiario per l’inverno.

Solo alla domenica si fa eccezione e si usano le uova per le tagliatelle, dalle nostre parti, per i famosi e gustosissimi tajarin. Dopo Pasqua, quando il sacerdote veniva a benedire le case, donare al ministro di Dio mezza dozzina di uova era il massimo del rispetto e dell’apprezzamento. Le uova erano quindi un prodotto di tutto riguardo. 

Cantè J'euv

Nelle ultime domeniche di quaresima i giovani del paese giravano di casa in casa, accompagnati da qualche strumento musicale. Accanto a quelli classici e tipici della nostra zona, come il clarinetto e la fisarmonica, facevano spicco strumenti musicali improvvisati, come zufoli di legno o di canne, tamburi alla buona, se non proprio alla casalinga, e così via. Il canto era invece formato da strofe d’occasione, a volte improvvisate sul momento, ma sempre con un unico scopo: rivolgersi al buon cuore del vicino perché regalasse delle uova (o anche denaro) in modo che la combricola potesse permettersi, il giorno della Pasquetta, una bella mangiata nei prati. Il canto era dunque ad uso personale, non aveva risvolti spirituali o addirittura origini nella mitologia pagana. Era un canto che presupponeva come risultato un comune interesse gastronomico.

Generalmente ci si recava sotto la finestra dei vicini, senza particolari bardature mitiche, semplicemente con un cesto per raccogliere le uova. A volte, il suonatore di mezzo portava un ramo, un pino, anticamente anche una croce di legno. Il canto era abbastanza perentorio. Lo scopo per cui la combriccola si riuniva, veniva subito presentato agli orecchi dell’uditore, magari già assonnato, per il semplice motivo che si andava a cantare le uova dopo cena, quando già la notte stava vincendo le inconfondibili sagome delle colline. E si incominciava subito con un:

O dene, dene d’j euv
ma d’la galin-a bianca,
i vostri ausin an diso
che chila l’é mai stanca.

In certe zone, invece, prima di fare la richiesta si passava a strofe improvvisate di saluto e di complimento per la famiglia interpellata. In merito a queste strofe di preambolo, di presentazione dobbiamo notare che i cantori erano sempre gente del posto per cui ben conoscevano le persone e le famiglie alle quali rivolgevano la questua. Ad ogni caso, quindi, ecco la strofa apposita, per cui se c'era una zitella:

An custa casa quì
a j'é ancora na tota
restà da maridé
ma se la vardi ben
a smia na matota

e se c'era un vedovo, ancora relativamente giovane, ecco l'augurio di potersi sposare presto. 

Ma il saluto per eccellenza veniva portato alla padrona di casa e se tutto andava per il verso giusto (con le uova nel cesto) ecco gli auguri di salute, di prosperità, i complimenti verso la donna di casa, l'arrivederci all'anno prossimo. Ma se le uova non arrivavano, ecco la vendetta, la maledizione, l'oltraggio:

Suna, suna violin, che 't suni a uffa
si ié na fia da maridé a buterà la muffa.
Se anti sta casa si ié na fia grassa
e se vor nen calé, ca marsa an tla paiassa.
Se anti sta casa si ié na gran sicina
ié scheisa el cu ar gai, ra chesta a la galina.

E così via perché gli esempi sono innumerevoli. Cantare le uova, ripetiamo, non è da intendersi come un rito propiziatorio, come, ad esempio il cantar maggio, ma ciò non toglie che l'origine sia anch'essa pagana. L'uovo, infatti, fin dai tempi antichi, rappresentava il mito-simbolo della fecondità. Il Cristianesimo stesso lo ha accettato, infatti per la festa pasquale (che significa rinascita, quindi vita) l'uovo rappresenta un simbolo che non è più pagano (quello di cioccolato sì, perché anche consumistico e quindi ben lontano da una logica religiosa!) ma cristiano e universale.

 

     Mirò


(Estratto da "Il platano", rivista di cultura astigiana, Asti, anno III, n. 3, 1978, pp 37-44: Figure, opere e riti della nostra terra)

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