lunedì 4 aprile 2011

La Storia dell’Industria Piemontese 2/8 - La transizione verso un mondo industriale

Storia dell’Industria Piemontese, Capitolo 2 ,  La transizione verso un mondo industriale.

Gli anni compresi tra la battaglia di Waterloo (1815) e la conclusione dei processi di unificazione nazionale in Italia e Germania (1871) rappresentano per l'Europa un'età percorsa da cambiamenti economici intensi e rapidi.
In questo periodo l'industria diventa il principale fattore di sviluppo per le economie europee più dinamiche. A partire dalla rivoluzione industriale inglese, la diffusione del sistema di fabbrica segue però percorsi non uniformi, sperimentando arretramenti, crescite incomplete e viziate da limiti strutturali

Questi limiti evidenziano progressivamente le distanze tra i singoli stati e, al loro interno, tra le diverse regioni.
Dalla fine del Settecento gli imprenditori inglesi avevano tracciato la via del nuovo sistema produttivo e organizzativo che, ponendo al centro la fabbrica dotata di forza motrice inanimata (ruote idrauliche e macchine a vapore), aveva sviluppato la meccanizzazione in alcune produzioni di base, in particolare stoffe e semilavorati di ferro come lamiere, lingotti e vergelle.

Operaie dell'Industria tessile di Augusto e Pietro Bosio, Sant'Ambrogio (Torino). 1890-1900. Associazione per la Fotografia Storica, Torino - Collezione Danna Leonardo [pdf]

Alla metà dell'Ottocento le principali tecnologie necessarie per avviare quei processi industriali e per la costruzione delle ferrovie sono, di fatto, a disposizione di tutti, ma in pochi riescono a seguire tempestivamente l'esempio inglese.
Durante il periodo precedente l'unificazione, è rara in Piemonte la presenza di fabbriche costruite sul modello inglese: le poche iniziative avviate dagli imprenditori stranieri costituiscono momenti significativi nel lento processo di modernizzazione che attraversa l'economia locale.

Nella prima metà dell'Ottocento detentori di abilità tecniche, giovani esponenti di famiglie industriali, commercianti, direttori di stabilimento si trasferiscono nella regione subalpina con spirito pionieristico, attratti da facilitazioni governative e dalla possibilità di conquistarsi un ruolo di primi attori in ambienti economici ancora legati a vecchi sistemi produttivi, ma non per questo privi di potenzialità di crescita.

Per quanto riguarda la lavorazione del cotone, il fenomeno assume una certa consistenza con la nascita di alcune imprese che avviano impianti di dimensioni, per l'epoca, non del tutto modeste.
L'impatto complessivo di questa prima ondata preunitaria di insediamenti stranieri nell'area piemontese è ancora ben lontano dal prefigurare i massicci trasferimenti dalla Svizzera che nell'ultimo quarto dell'Ottocento, sulla base di dimensioni e modalità del tutto differenti, daranno un decisivo apporto all'affermazione dell'industria cotoniera nel nord del paese.

Le aziende guidate da imprenditori stranieri si affiancano alle non numerose iniziative di imprenditori locali, che però ricorrono quasi sempre a tecnici d'oltralpe per la direzione degli impianti.
Spesso il compito di introdurre le nuove tecnologie resta alle imprese degli stranieri. È il caso della prima filatura meccanica piemontese impiantata nel 1810 a Intra dallo svizzero Gian Giacomo Müller, cui segue l'impianto dalla ditta Oëtiker, mentre nel 1822 Giuseppe David del Delfinato e Gaspare Hirt di Mulhouse fondano a Venaria una tintoria con annessa stamperia.

Nella Valpellice viene impiantato nel 1830, per iniziativa dell'imprenditore valdese Giuseppe Malan e degli svizzeri Grainicher e Trog, uno dei maggiori cotonifici della regione, che a metà degli anni 1840 possedeva 10.000 fusi e dava lavoro a 300 operai.
Al 1804 risale, invece, la fondazione della Annecy e Pont da parte della famiglia Duport. L'azienda possiede svariati stabilimenti tra cui i maggiori sono quelli di Annecy in Savoia e di Pont nel Canavese.

Nel 1828 la ditta è trasformata in società anonima e le sue azioni suddivise tra capitalisti svizzeri (tra cui la ditta Mérian di Basilea che detiene la maggioranza del patrimonio), francesi e italiani; la gestione rimane nelle mani dei Duport.
A metà degli anni Quaranta la società, con 22.000 fusi e circa 3.000 operai, è l'unica azienda cotoniera della penisola a poter vantare dimensioni quasi paragonabili a quelle dei cotonifici in Alsazia o in Belgio.

Dopo l'Unità, con la cessione della Savoia alla Francia, l'azienda diventa una multinazionale e lo stabilimento di Pont rimane a guida straniera.
L'avvio dei cantieri per la costruzione di tratti ferroviari nel Regno di Sardegna è all'origine di altri trasferimenti imprenditoriali, mentre la domanda di materiale ferroviario sollecita l'incremento dell'attività per alcune officine locali.

In nessun caso si crea però un circolo virtuoso tra costruzioni ferroviarie e diffusione dell'industria meccanica paragonabile a quanto stava avvenendo all'estero e a quanto sarebbe avvenuto in Italia a partire dalla fine dell'Ottocento; la capacità realizzativa delle officine piemontesi resta in questa fase inadeguata al complesso delle pur limitate esigenze espresse dalle compagnie ferroviarie.
Alla fine degli anni quaranta dell'Ottocento il Regno di Sardegna conta una dotazione di ferrovie inferiore ai 60 chilometri.

Nell'ultimo decennio preunitario si assiste però a una straordinaria accelerazione delle costruzioni in Piemonte e Liguria, che arriva a superare gli 800 chilometri di linee in esercizio.
Alla fine degli anni Cinquanta le maggiori città dell'Italia settentrionale sono collegate tra loro. Da Torino , una volta completato il ponte sul Ticino, la ferrovia raggiunge Venezia, mentre il traforo del Frejus, iniziato nel 1857, è concluso solo nel 1871. Nella regione, oltre agli arsenali per la produzione di materiale bellico, il settore manifatturiero più sviluppato resta quello tessile.

Per la seta la trattura resta un'attività temporanea e condotta solitamente a fianco del podere, e solo la torcitura aveva acquisito da tempo le caratteristiche dell’opificio accentrato, sulla base però di una tecnologia che non tiene ancora conto delle conquiste della rivoluzione industriale inglese in termini sia di risparmio di lavoro, sia di costanza qualitativa.
Nonostante ciò, in Piemonte la produzione del filo di seta cresce ulteriormente nell'Ottocento e riesce a inserirsi, con i suoi semilavorati, nel movimento di sviluppo dell'industria tessile internazionale.

Lanificio 1915

Alcuni segni di progresso si registrano nell'industria laniera, in quella cotoniera e nell'abbigliamento.
Inizia nei decenni centrali del secolo nella filatura la diffusione delle tecnologie inglesi. Nel 1844 sono installati 24.000 fusi in cinque lanifici e 100.000 in qualche decina di piccoli cotonifici posti a Intra, Novara, Biella e Chieri.
Solo tre filature di cotone superano però i 10.000 fusi.

Anche la tessitura appare in crescita, ma resta prevalentemente condotta con telai a mano dispersi tra le case di famiglie contadine che integrano il reddito agricolo con il lavoro manifatturiero.
Il settore dell'abbigliamento fa registrare la nascita della fabbricazione industriale di cappelli: fondata nel 1857 da Giuseppe Borsalino ad Alessandria, la ditta omonima arriverà verso fine secolo a produrre 750.000 cappelli l'anno, e ben 2 milioni alla vigilia della Grande Guerra.

Nessun progresso si registra invece in questi decenni nell'industria siderurgica delle valli alpine che resta molto arretrata, legata all'attività di piccoli forni accesi per solo alcuni mesi all'anno e collocati nelle vicinanze delle miniere.
L'industria meccanica è invece praticata pressoché esclusivamente nell'ambito dell'artigianato urbano, ad esclusione della produzione di armamenti su commesse statali.

La crescita della spesa pubblica comincia a sollecitare importanti effetti positivi sul settore manifatturiero a partire dalla seconda parte del regno di Carlo Alberto, e con maggiore evidenza nel decennio cavouriano.
Le forniture belliche creano una domanda in crescita per specifiche produzioni. In particolare sono i lanifici di Biella che in questi anni crescono attorno all’attività di alcune famiglie di imprenditori come i Sella, i Piacenza, gli Ambrosetti, i Vercellone, i Borgnana-Picco, che via via accolgono le nuove tecnologie nei propri stabilimenti meccanizzati.

Una significativa ripercussione hanno però gli interventi per adeguare le infrastrutture della regione alle novità che si stanno imponendo nei contesti europei più dinamici.
L'ampliamento della rete idrica (completato nel 1866 con l’inaugurazione del canale Cavour), la riorganizzazione del sistema stradale, l'apertura di nuovi valichi (negli anni quaranta Genova fu collegata all'entroterra attraverso il passo dei Giovi), l'avvio dei collegamenti telegrafici, determinano il complessivo ammodernamento dello Stato e l'aumento della domanda di lavoro manifatturiero.

Le costruzioni ferroviarie, davvero intense in relazione all'epoca e alle dimensioni dello stato, hanno finalmente un impatto sull'economia locale di particolare ampiezza.
Negli anni che seguono l'unificazione del paese, in un quadro improntato da un sostanziale continuità delle politiche economiche italiane rispetto a quelle del piccolo stato piemontese, le correnti di sviluppo delineatesi a partire dal decennio cavouriano trovano sostanziale conferma.

L'industria meccanica mostra qualche segno di ulteriore dinamismo, da un lato confermando e ampliando le commesse provenienti dalla domanda di materiale bellico e ferroviario, dall'altro grazie alla fondazione di alcune nuove attività per prevalente iniziativa di imprenditori di origine svizzera e tedesca, impegnate, perlopiù su basi dimensionali modeste, nella produzione di macchine utensili e a vapore, prodotti per l'edilizia e per la tipografia.

Mentre il comparto serico soffre per la terribile epidemia che nella seconda metà degli anni Cinquanta e per tutto il decennio successivo colpisce gli allevamenti di bachi compromettendo le rese produttive, l'industria cotoniera vede il trasferimento di un nuovo gruppo di imprenditori elvetici: tra questi sono i Sütermeister a Intra, Ackermann, Oetiker, Fürter-Bebié a Novara, Graincher-Trog in provincia di Torino.

Il sopraggiungere dell'euforia finanziaria, seguita in Europa alla fine della guerra franco-prussiana del 1870, contribuisce con un primo impulso alla crescita del settore secondario anche nell’area regionale piemontese.
La sospensione della concorrenza esercitata dalle merci francesi come conseguenza transitoria di quel conflitto crea allora condizioni favorevoli alla nascita di una circoscritta ma significativa schiera di iniziative imprenditoriali.

L'effervescenza creditizia di quegli anni induce infatti gli imprenditori a considerare anche fonti di finanziamento esterne alla famiglia: circuiti locali, legati al ciclo serico e alla figura del banchiere privato, cominciano ad essere attivati e orientati in senso industriale.
Si realizzano i primi tentativi di creare banche d'affari e società anonime nel comparto industriale, e gli investimenti di capitale straniero iniziano ad affluire, soprattutto nel settore cotoniero.

Nel 1872 viene fondata la Manifattura di Cuorgné e poco più tardi la Manifattura di Rivarolo, per iniziativa dei fratelli De Planta.
Ad Alba, nel 1884, nasce la Miroglio , oggi uno dei maggiori gruppi italiani nel settore del tessile, filatura e abbigliamento. La Manifattura lane Borgosesia (oggi parte del gruppo Zegna ) era invece attiva sin dal 1850. Nuove società sorgono anche in altri settori, come la Cartiera Italiana e, nel campo dell'industria conserviera, la Cirio.

La prevalenza dell'agricoltura ancora sussisteva, ma la produzione di manufatti in fabbrica comincia a suscitare interesse.

Qualche rivista specializzata inizia le pubblicazioni e le prime edizioni di manuali tecnici avviano una pur circoscritta diffusione delle conoscenze sui principali metodi di lavorazione in uso nelle fabbriche straniere.

La scuola politecnica di Torino inizia a immettere sul mercato del lavoro i primi diplomati, rispondendo parzialmente a una domanda di direttori tecnici, che per molti anni ancora sarebbe stata comunque soddisfatta con il ricorso all'immigrazione di personale specializzato dalle nazioni europee più avanzate.

Tutti link ai agli altri articoli li trovate ne primo capitolo della Storia dell’industria Piemontese

 

             Mirò

 

Fonte: Storia e Cultura dell’Industria

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