Storia dell’Industria Piemonte, Capitolo 3, Il decollo industriale. Dalla fine dell'Ottocento alla prima guerra mondiale
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta dell'Ottocento, il lento progredire dell'industrializzazione attraversa una prima importante fase di accelerazione che pone le basi per la definitiva affermazione del triangolo Torino -Genova-Milano quale motore dell’economia del paese.
La crisi agraria europea, la rivoluzione dei trasporti e la discesa dei prezzi creano il presupposto per la convergenza tra gli interessi agrari e quelli industriali in vista di una svolta protezionista nella politica doganale del paese, mentre la diminuzione degli investimenti in ambito agricolo, liberando risorse per le altre attività economiche, favorisce la raccolta dei capitali per le iniziative industriali.
Nel 1878 è approvata la prima tariffa generale, contrassegnata da un moderato indirizzo protezionista in favore delle industrie della lana e del cotone: la svolta protezionistica si inscrive nel generale superamento delle politiche economiche liberiste in Europa.
In Italia i governi della Sinistra storica varano i primi piani per la costruzione di opere pubbliche, con attenzione soprattutto ai collegamenti ferroviari e alle linee del telegrafo. Significativi sono in questo contesto anche i diversi provvedimenti in favore dell'industria meccanica nazionale e di quella siderurgica.
Alla prima tariffa protezionistica segue un periodo non privo di novità nel panorama industriale piemontese; si verifica una moderata crescita dei settori ad alto contenuto di capitale, parallelamente allo sviluppo dei settori già affermati, quali il laniero e il cotoniero.
Nel 1887 il governo accoglie le ripetute richieste di maggiore protezione avanzate negli ambienti agrari, cui si erano naturalmente associati gli imprenditori industriali, stabilendo una tariffa più elevata che dischiude una nuova prospettiva per l'industria italiana, anche se negli anni immediatamente seguenti gli esiti di tutti i settori industriali sono condizionati dal pessimo andamento complessivo dell'economia.
Le uniche industrie che traggono un vantaggio immediato sono le imprese di filatura e tessitura del cotone, in virtù dei significativi progressi già compiuti nella produzione di un bene di consumo di massa a basso prezzo.Proprio dalla protezione scaturisce anzi un sostegno decisivo al processo di espansione del settore.
Nel panorama industriale nazionale, il settore tessile si distingue rispetto agli altri per la maggiore dimensione delle fabbriche e per una massiccia concentrazione nelle regioni del nord. Nel 1911 quasi il 90% dei lavoratori è piemontese, ligure, veneto o lombardo; a quella data inoltre in media ogni opificio tessile dà lavoro a circa 80 operai.
Nel 1887 gli operai che lavorano nei moderni cotonifici piemontesi sono già oltre 20.000. Tra i maggiori impianti vi è la Manifattura di Cuorgnè con 90.000 fusi, la filatura di Pont con 30.000 fusi, seguita per dimensione dalla Guidotti-Pariani a Gravellona Toce e dalla Mazzonis.
Nella tessitura le maggiori concentrazioni di telai sono presso la fabbrica Poma a Biella, nell'impianto di Pont e presso quello di Rivarolo Canavese. Tra il 1870 e il 1910 la produzione nazionale si moltiplica di oltre dieci volte.
I cotonifici della regione assieme a quelli lombardi sono tra i più modernamente attrezzati nell'Europa continentale e, grazie anche alla capacità di produrre stoffe di qualità, alimentano crescenti correnti di esportazione. Nel 1891 i fusi installati negli opifici piemontesi sono quasi 400.000, mentre i telai superano i 10.000.
All'inizio del nuovo secolo quasi un terzo dei filati e un quinto dei tessuti di cotone italiani escono dagli opifici piemontesi grazie al lavoro di oltre 30.000 operai. Nel paese si affermano nuovi gruppi di imprenditori, motivati all'espansione di un'attività produttiva condotta sulla base di moderni criteri di efficienza gestionale e organizzativa.
Vengono fondate anche numerose nuove imprese. Nelle vallate piemontesi si affermano sistemi locali di imprese legati all'attività cotoniera e gruppi di imprenditori svizzeri, quali Wild-Abegg, De Planta, Leumann, Gruber, Remmert, trasferiscono le loro imprese nella regione. Accanto ad essi si affermano anche le dinastie piemontesi dei Chiesa, Rolla, Mazzonis e Poma.
Opifici di vecchia costruzione vengono ampliati e resi adatti ad accogliere le nuove macchine, mentre altri vengono costruiti secondo i più moderni canoni dell'architettura industriale.
A partire dagli anni Settanta dell'Ottocento sorgono i primi complessi industriali di grande avvenire nel panorama nazionale e si assiste alla realizzazione di alcuni siti industriali coordinati con quelli abitativi, che danno vita a veri e propri villaggi operai.
Impianti quali Cotonificio Valle Susa, Manifattura Leumann, Manifattura di Rivarolo,Cotonificio Italiano, Cotonificio Piemontese, Manifattura di Cuorgnè avviano, per la prima volta in Italia, un processo di sostituzione dell'importazione di manufatti con un prodotto nazionale. L'industria laniera piemontese è inoltre la maggiore nel paese, con quasi 15.000 operai nel 1900.
L'uscita dalla crisi degli anni Novanta è accompagnata, dal lato dell'industria, da un profondo mutamento di rotta. Esaurita la forza propulsiva della rivoluzione industriale inglese, si va imponendo a livello internazionale un nuovo sistema dominato dai principi della meccanizzazione e della velocità; ciò porta ad una massiccia introduzione dell'uso di macchinari in ogni ambito della vita quotidiana.
Il grado di sviluppo dell'industria meccanica arriva a rappresentare d'ora in avanti una misura attendibile dell'efficienza di ogni sistema industriale, mentre il nuovo corso industriale modifica anche settori tradizionali strettamente collegati con l'agricoltura, come l'alimentare.
Alla fine del secolo gli impianti per la lavorazione del riso a Novara e Vercelli raggiungono dimensioni ragguardevoli e utilizzavano nuovi, costosi macchinari; il settore è dominato da grandi complessi, tra cui emergono la Riseria italiana di San Germano, la Lombardi e C., la Tacchini, Grignaschi e C. e poche altre imprese.
Nell'industria vinicola si segnalano la Martini & Rossi , la Gancia e la Cinzano nella produzione e commercializzazione di spumanti e vermouth, a testimonianza di una generalizzata trasformazione ed espansione della produzione di vini nella regione.
Già alla metà dell'Ottocento il piemontese Francesco Cirio coglie le opportunità legate alla spedizione a lunga distanza di prodotti alimentari utilizzando la nuova rete ferroviaria in costruzione per collegare il proprio laboratorio di produzione ai mercati continentali.
Alla fine degli anni 1870 l'azienda è oramai una moderna impresa industriale con stabilimenti in Piemonte e nel Napoletano, punto di incontro tra un'agricoltura che tiene conto dell'evoluzione tecnologica di quegli anni e delle moderne pratiche per la conservazione dei cibi: pomodori, uova, ortaggi, frutta, pesce, burro e formaggi.
I difficili anni 1880-1890 costringono ad accantonare i progetti più ambiziosi ma non l'idea originaria. All'inizio del secolo l'impresa è una moderna holding industriale connessa alla grande banca (il Credito italiano) e con la partecipazione del capitale straniero.
Grandi banche, in particolare la Banca Commerciale e il Credito italiano, e intervento del capitale straniero sono gli ingredienti indispensabili alla comparsa delle nuove grandi imprese in Piemonte.
All'inizio del Novecento gli operai piemontesi sono già più di 150.000 e l'industria della regione, seconda solo a quella lombarda, può contare sull'energia installata di oltre 120.000 cv.: solo un decennio più tardi questi valori sono più che raddoppiati.
L'ascesa dell'industria meccanica nella regione è ormai avviata. La Società Nazionale delle Officine Savigliano , fondata nel 1881, con il nuovo secolo vede crescere la produzione di materiale ferroviario e materiale elettromeccanico. La Tedeschi e l'Officina Morelli, Franco, Bonamico sviluppano anch'esse la produzione di materiali elettrici.
Sono molte le nuove industrie meccaniche, e i laboratori artigianali che si ingrandiscono per la produzione di mezzi di trasporto, macchine utensili, parti staccate: la Diatto e la Ansaldi si collocano in questi anni ai vertici del settore.
Nel 1908 l'ingegnere Camillo Olivetti , socialista riformista e straordinaria figura di intellettuale utopista, avvia a Ivrea la prima fabbricai taliana per la produzione di macchine per scrivere, la Olivetti , dopo aver sviluppato nel decennio precedente quella degli strumenti di misura con la C.G.S. (Centimetro-Grammo-Secondo) la cui sede è presto trasferita a Milano.
Olivetti, dopo aver viaggiato e vissuto in America, porta in Italia la suggestione dei modelli organizzativi e produttivi che, su basi dimensionali del tutto diverse, stanno improntando, oltre oceano, il nuovo modello di sviluppo economico tipico della seconda rivoluzione industriale e della grande impresa; a Torino intanto sono già comparse le prime filiali delle multinazionali, quali la Westinghouse Italia.
La penisola è in questi anni partecipe del cambiamento nella congiuntura economica internazionale che innesca un processo espansivo protrattosi, su scala mondiale, dalla metà degli anni Novanta fino alla grande guerra.
La drastica contrapposizione con gli orrori del periodo bellico, e con la disarticolazione dei meccanismi sociali e dei sistemi economici seguita alla guerra, avrebbe sottolineato successivamente la percezione positiva dei risultati raggiunti: la belle époque.
Fondata nel 1899 a Torino con i capitali di un gruppo di aristocratici e possidenti quasi tutti piemontesi, la Fiat, guidata da Giovanni Agnelli , vede le sue azioni protagoniste nelle tumultuose fasi del mercato mobiliare nel 1906 e1907.
I titoli automobilistici moltiplicano il proprio valore, per poi crollare all'esplosione della bolla speculativa. È la prima crisi borsistica moderna: nata fuori d'Italia, mostra i disequilibri della crescita economica velocissima all'inizio del secolo.
Le maggiori difficoltà sopraggiungono per i maggiori settori industriali, quello della produzione dell'acciaio in particolare. Giovanni Agnelli riesce a governare le difficoltà e, alla fine, a uscirne saldamente al comando di un impresa di cui oramai controlla il capitale.
Per la Fiat è una svolta: si accantona la produzione di lusso e si punta su vetture di cilindrata minore che appaiono in grado di conquistare un pubblico appena un pò meno ristretto.
La Tipo 1 è venduta nel 1910 a 14.500 lire e, due anni dopo, la Tipo 0 è sul mercato per la metà di quella cifra. Nei 50.000 metri quadrati della fabbrica Fiat di corso Dante, attrezzati con macchine americane e tedesche, si producono alcune migliaia di automobili ogni anno cercando di utilizzare là dove possibile pezzi standardizzati e si cerca di recepire qualche suggestione organizzativa dal modello americano.
Nel 1913 la Fiat detiene, grazie al lavoro di 3000 operai, la metà della produzione nazionale di autoveicoli – circa 4500 unità su 9000 - e alimenta un cospicuo tessuto di imprese ausiliarie localizzate nella cintura torinese: Tedeschi, Zerbini, Michelin, Microtecnica.
Parallelamente Agnelli persegue una strategia di crescita, anche attraverso l'acquisizione di imprese minori, volta a fare della Fiat un grande gruppo industriale: da un lato, attraverso la diversificazione produttiva in settori correlati, come la motoristica per navi, sommergibili, aerei e, dall'altro, mediante l'integrazione verticale e la realizzazione di una rete di vendita.
Nonostante l'evidente disparità dimensionale, molte imprese minori sorte a fianco della Fiat esprimono in quegli anni una propria originalità imprenditoriale e riescono a mobilitare importanti capacità tecniche e organizzative nel settore dell'automobile.
É il caso, a Torino, della Diatto (1905), della Lancia, fondata nel 1906, nonché delle numerose imprese automobilistiche nate dalla intensa attività dei fratelli Ceirano. Tra queste si ricordano l'Itala (1904), produttrice della vettura che nel 1907 vince la Pechino-Parigi, la S.C.A.T. -Società Ceirano Automobili Torino (1906), la S.P.A. - Società Ligure Piemontese Automobili (1907).
La maggior parte di esse saranno in seguito assorbite dalla Fiat. Sempre a Torino viene prodotta una delle prime “vetturette” utilitarie del mondo, la Temperino (fondata nel 1906 come fabbrica di motociclette ed entrata nel settore auto pochi anni dopo), e una delle primissime vetture destinata esclusivamente alle corse, la Chiribiri (1910), portata alla vittoria in numerose gare da Tazio Nuvolari.
A fianco di queste imprese cresce in questi anni entro e attorno la capitale piemontese un intero apparato di industrie correlate che è ormai in grado di fabbricare i telai, i cuscinetti a sfere, i motori, le carrozzerie e gli allestimenti interni.
Giovanni Agnelli aveva visitato in America la fabbrica inventata da Ford con il lavoro alla catena di montaggio, ma nessun paragone è in questi anni possibile tra l'Italia e lo sviluppo dell'industria automobilistica americana. In Francia, Germania e Inghilterra la crescita è comunque molto superiore.
Eppure lo sviluppo della Fiat dalla data della sua costituzione era stato stupefacente e l'impresa torinese domina incontrastata già prima della guerra il mercato nazionale. L'Itala, la Lancia, la Bianchi, l'Isotta Fraschini, l'Alfa Romeo occupano solo alcune nicchie di mercato.
La Fiat grazie all'autofinanziamento e all'appoggio della Banca Commerciale, costruisce in pochi anni un gruppo industriale e attraverso acquisizioni e partecipazioni azionarie avvia un vasto processo di integrazione verticale e di diversificazioni correlate.
Controlla a monte l'approvvigionamento di parti staccate e semilavorati, dirige a valle la commercializzazione dei propri prodotti e consolida teste di ponte produttive in alcuni importanti mercati esteri. È presente nella produzione dei motori per navi (con la Fiat San Giorgio) e nella nascente industria aeronautica (con la Società italiana aeronautica).
Durante la belle époque nell'industria automobilistica trovano piena realizzazione le abilità tecniche e la capacità di innovare dell'imprenditoria dell'Italia del nord-ovest. Il settore, del tutto nuovo, avrebbe nei decenni acquisito una funzione guida dell'industria italiana, impiegando però almeno mezzo secolo per modificare la struttura dei consumi di massa del paese.
Nel 1913 in Italia le vetture circolanti sono solo 20.000, mentre la produzione americana annua supera le 500.000 unità grazie a imprese che colgono i vantaggi della lavorazione in serie e della diffusione di massa di automobili a basso costo.
In Italia l'automobile è ancora un prodotto di lusso: circa la metà delle 7000 vetture prodotte all'anno nel periodo 1911-1913 sono destinate all'esportazione grazie alla cura e alla qualità delle lavorazioni, più che in ragione dei costi.
La ristrettezza del mercato interno, le lavorazioni di pregio, la rete stradale inadeguata, la mancanza di significativi aiuti governativi, cristallizzano la struttura del settore attorno alla Fiat che è affiancata da un ampio numero di imprese minori, alcune poco più che ditte artigianali, legate a nicchie di mercato a volte determinate da passioni sportive o imposte da mode estrose.
Mirò
Tutti i link alla Storia dell’Industria Piemontese si trovano nel post Capitolo 1
Fonte: Storia e Cultura dell’Industria
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