Storia dell’Industria Piemontese, Capitolo 4, La Grande Guerra e il primo dopoguerra
Con lo scoppio della Grande guerra giunge a compimento la parabola del modello di sviluppo che ha caratterizzato la belle époque. Fino ad allora le aspettative degli imprenditori erano state rivolte alla convergenza dei consumi privati agli standard europei. Il conflitto induce una distorsione del processo di diffusione dell'industria, prevalentemente fondato, nonostante tutto, sull'agire delle forze del mercato.
Il ruolo dello stato era già fondamentale nell'indirizzare la crescita industriale, ma con la guerra l'intervento pubblico compie un salto di qualità, spostando drasticamente il baricentro del sistema
capitalistico italiano. Le grandi imprese si sviluppano grazie all'intervento dello stato rivolto a sostenere l'approvvigionamento di materiale bellico e questo costituisce una formidabile premessa per il progressivo coinvolgimento della mano pubblica nei sistemi imprenditoriali del paese.
La partecipazione dell'Italia a una guerra in cui, per la prima volta, le esigenze della strategia militare risultano essere variabili subordinate alla capacità produttiva del settore industriale, rappresenta un'occasione di sviluppo anche per le imprese piemontesi e soprattutto per la Fiat, che proprio in questi anni raggiunge i vertici del sistema industriale del paese. Cambiano i beni prodotti, le tecniche utilizzate e, in parte, l'organizzazione delle imprese. Enormi complessi industriali nascono in funzione delle commesse di materiali per la guerra. Si affermano grandi imprese integrate verticalmente e orizzontalmente, capaci di fornire un ventaglio ampio di produzioni altamente specializzate.
Negli anni di guerra, 1915-1918, la Fiat passa da 4000 a 40.000 dipendenti. Giovanni Agnelli come i rivali fratelli Perrone dell'Ansaldo, e molte altre grandi imprese del paese, persegue l'obiettivo dell'integrazione verticale con l'acquisizione di aziende, tra cui le Officine Diatto, le Ferriere piemontesi o le Industrie metallurgiche di Torino.
Durante la guerra un "nuovo esercito del lavoro", formato per la prima volta da una larga componente femminile, affolla le fabbriche di Torino ; la città è trasformata in un immenso cantiere, si costruiscono i nuovi opifici. Anche nei cortili, nelle cantine si lavora per preparare il materiale bellico, ma le vere novità sono visibili nell’espansione dei moderni stabilimenti a nord lungo l’arco della Dora e a sud ovest: Diatto, Westinghouse, Ferriere piemontesi,Lancia, Ansaldi, Rapid, Nebiolo , Pomilio, Michelin, Dubosc, Scat, Itala.
Sempre negli anni del conflitto la capacità produttiva dell'industria elettrica appare in lenta crescita, ma la trasformazione affrontata dal settore è in realtà radicale. Grazie, infatti, all'aumento dell'utilizzo degli impianti idroelettrici, la produzione cresce rapidamente fino a raggiungere, nel 1918, il doppio del quantitativo erogato nel 1913.
Gli utili allora accumulati vengono impiegati dalle maggiori società per ribadire quelle linee evolutive, già evidenti nell'anteguerra, che tendono al controllo oligopolistico di un mercato suddiviso per sfere di influenza, un'azione che non poteva essere contrastata dalle imprese municipalizzate sorte nelle principali città, tra cui Torino..
L'uscita della Siemens dal capitale della Società elettrica Alta Italia di Torino rappresenta un esempio di un'operazione risoltasi con l'aumento del grado di concentrazione finanziaria del settore attorno a un ristretto gruppo di imprese all'interno delle sfere di influenza delle maggiori banche del paese: la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano, tra le quali si è temporaneamente inserita la Banca italiana di sconto.
In questo panorama cade la nascita, nel 1918, della Società idroelettrica piemontese (Sip) sotto la guida di Gian Giacomo Ponti, come trasformazione della Società industriale elettrochimica di Pont Saint Martin; la Sip può in seguito esercitare un ruolo concorrente alla Edison in Lombardia attraverso l'acquisizione della Società lombarda per distribuzione elettrica (Vizzola).
Il conflitto ridimensiona temporaneamente il ruolo del maggiore vincolo allo sviluppo industriale italiano, costituito dalla ristrettezza del mercato interno. La mancata crescita della domanda è, però, solo una questione accantonata. Al di là delle inevitabili effervescenze del dopoguerra, essa si ripropone quale fattore frenante all'affermazione, in tutti i settori, della grande impresa.
Le commesse dell'esercito favoriscono il prevalere dei settori ad alto contenuto di tecnologia rispetto a quelli tradizionali. Le produzioni di beni di consumo cedono il passo all'industria pesante. Il danaro pubblico consente alle imprese di autofinanziare, in larga parte, la costruzione dei nuovi stabilimenti ovviando ai limiti del mercato azionario italiano.
Il repentino dileguarsi dei flussi di danaro statale riversa sul sistema bancario l'onere del finanziamento della riconversione industriale nella temperie del periodo postbellico. I massimi istituti di credito (Banca commerciale italiana e Credito italiano), chiamati a svolgere un ruolo di coordinamento e iniziativa nel disegnare le strategie industriali del tempo di pace, non contribuiscono a restituire equilibrio al sistema industriale italiano.
Le grandi imprese elettriche, che pure si erano dimostrate le più vitali anche negli anni difficili, non si pongono come centri promotori di una nuova imprenditoria nelle diverse aree del paese. Mentre i fratelli Perrone tentano, dal ponte di comando dell'Ansaldo, di assumere il controllo della Banca Commerciale Italiana, parallelamente Giovanni Agnelli tenta di mobilitare i capitali Fiat, in associazione con la Snia di Riccardo Gualino, per ottenere il controllo del Credito Italiano.
Le banche, sopraggiunta una congiuntura sfavorevole alle industrie, riescono a cautelarsi dal pericolo delle aggressioni finanziarie collocando congrue parti del proprio capitale sociale all'interno di sindacati di blocco, in mano a imprese controllate direttamente o indirettamente dai
medesimi istituti. Alla fine di queste avventure finanziarie l'Ansaldo, entrata in una crisi industriale che pare irreversibile, viene smembrata e la Fiat assorbe le produzioni aeronautiche, quelle automobilistiche e lo stabilimento San Giorgio per la fabbricazione di grandi motori per navi.
L'irrompere delle imprese di grandi dimensioni sulla scena torinese, la veloce espansione del tessuto sociale composto dalla manodopera industriale, l'ingresso in fabbrica di nuove fasce sociali, il ritorno nelle periferie urbane trasformate di coloro che avevano combattuto e sofferto nelle trincee della grande guerra sono tutti fenomeni capaci di stravolgere nel dopoguerra il sistema di relazioni industriali con cui devono confrontarsi le imprese nel pieno dello sforzo di riconversione alle nuove.
Dopo la guerra ha una larga diffusione a Torino sia nell'industria automobilistica che in quella meccanica, nel comparto chimico come in quello della gomma il movimento antagonistico ispirato alla rivista "L'Ordine Nuovo" diretta da Antonio Gramsci. In molte fabbriche torinesi, cresciute con la guerra, sono presenti i commissari di reparto e i consigli operai.
Alla politicizzazione dello scontro sindacale nelle fabbriche imposto dalle nuove organizzazioni dei lavoratori si contrappone sul fronte degli imprenditori l'Amma, Associazione metallurgici, meccanici e affini, presieduta da Giovanni Agnelli. Nella primavera del 1920 lo "sciopero delle lancette" si risolve con la sconfitta degli operai e la riduzione dei poteri delle commissioni interne, ma già nell'estate, al culmine di quello che sarebbe stato ricordato come il “biennio rosso”, la conflittualità nelle fabbriche riesplode con le occupazioni dei grandi impianti industriali prima a Torino e a Milano, poi nel resto del triangolo industriale.
Gli industriali rispondono con la serrata delle fabbriche. La mediazione esercitata dal governo Giolitti nel settembre 1920 interviene a pochi mesi dalla grave crisi economica che nel 1921 compromette definitivamente ogni ulteriore aspettativa di rivendicazione da parte operaia: l'ambiente sociale è oramai scosso dalla devastante e violenta espansione del fascismo, a Torino come nelle altre città del nord ovest, nel triangolo industriale come nelle campagne della pianura padana.
Mirò
Tutti i link alla Storia dell’Industria Piemontese si trovano al Capitolo 1
Fonte: Storia e Cultura dell’Industria
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