lunedì 25 aprile 2011

Storia dell’Industria Piemontese (5/8) – Tra le due guerre

Storia dell’Industria Piemontese, Capitolo 5,  Tra le due guerre.

Tra il 1922 e il 1938 il prodotto lordo pro capite italiano rappresenta poco più della metà di quello ameri­cano e in­glese, e circa i 2/3 di quello tedesco e francese. I tentativi di perse­guire in Italia strategie industriali di tipo for­dista rivolte all'ab­bat­timento dei costi unitari attraverso l'ampliamento della produzione continua e standardizzata, trovano insuperati vincoli sia nel basso livello dei consumi, sia nell'ancora alta percen­tuale di reddito destinato dalle famiglie all'acquisto di generi di prima necessità.

Il mercato automobilistico non poteva non risentirne in modo particolare. Nel 1938 il parco circolante italiano è costituito da poco più di 370.000 autoveicoli, di cui 280.000 vetture, mentre negli Stati Uniti gli autoveicoli sono 25 milioni, in Francia e Inghilterra circa 2 milioni, in Germania 1.300.000. L'industria automobilistica italiana cresce, quindi, rivolta alle esportazioni, che assorbono oltre la metà della produzione fino al 1928.

In quegli anni la Fiat  produce, sull'arco di quasi un decennio, 70.000 automobili modello 501 nello stabilimento del Lingotto, costruito su cinque piani di altezza, con una pista di prova sul tetto e impostato, secondo i più moderni criteri dell'epoca, per la lavorazione alla catena di montaggio. Ma sono numerosi i modelli italiani che, seppure con produzioni numericamente ridotte, sono divenuti celebri a livello internazionale per le qualità sportive o per le qualità costruttive, come la Lancia Lambda.

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A Torino  si sviluppa anche la Viberti, nata come carrozzeria nel 1922 e trasformata in impresa industriale nel 1928: diventerà uno dei maggiori produttori italiani di autobus, semi-articolati e rimorchi.

La struttura dell'industria automobilistica è ancora improntata dalla presenza di una grande impresa affiancata, in posizione ineluttabilmente subordinata, da poche aziende di medie dimensioni. Al di là della fabbricazione di vetture complete, la crescita delle lavorazioni meccaniche porta, più in generale, alla formazione di numerose officine e laboratori con meno di dieci addetti. Questa formazione di microimprese, connessa non solo all'industria automobilistica ma a tutto il settore meccanico, determina una ridefinizione dei sistemi locali su scala subregionale nell'Italia del nord-ovest.

In Piemonte come nel resto del nord-ovest e in ampie aree del nord-est-centro si determina in quegli anni una nebulosa manifatturiera for­mata da costella­zioni locali di imprese, costituite da grandi e piccole unità, dove queste ultime riforniscono le imprese mag­giori di parti staccate o completano lavora­zioni secondarie o, ancora, si oc­cupano di coprire seg­menti specializzati del mercato. In quegli anni l'industria meccanica cresce e si svi­luppa fino a coprire molte produzioni di beni di con­sumo durevole e di mac­chine utensili. Settori produttivi, questi, dove si sarebbero via via formate qualità e capacità produttive tali da porre nel secondo dopoguerra l'industria meccanica italiana ai primi posti in Europa.

Contrariamente a quanto era avvenuto per gli industriali cotonieri, che pure alimentano, a partire dalla belle époque, vistose correnti di esportazione, il proiettarsi sulla scena internazionale di alcune grandi imprese avviene anche su mercati di nazioni a capitalismo avanzato e per produzioni a alto contenuto tecnologico.

In primo luogo la Fiat che, anziché fondare, come altre imprese meccaniche, la propria strategia di espansione sulla sostituzione delle importazioni, cerca da subito il confronto con i maggiori produttori mondiali sui mercati esteri. Secondariamente, negli anni 1920 la Olivetti , che aveva già investito in una rete commerciale in Italia, avvia le esportazioni della macchina per scrivere M20.

Locandina SIP

Nel campo delle fibre tessili artificiali si verifica un'affermazione di assoluto rilievo dei produttori nazionali: irrilevante fino ai primi anni 1920, la produzione italiana cresce per un decennio a ritmi sostenuti, comparabili con quelli dell'industria tedesca e alla fine del periodo questa industria si mostra ancora in forte progresso, con una produzione superiore alla metà di quella tedesca, ma pari al doppio di quella inglese e di quattro volte superiore a quella francese. In questo settore si impone come impresa trainante la Snia Viscosa, con sede a Torino. Nel campo elettrico la Sip si mantiene ai vertici del settore.

L'industria piemontese nel corso del ventennio tra le due guerre mondiali compie un decisivo salto di qualità dimensionale, tecnologico e organizzativo. La società piemontese è oramai a tutti gli effetti improntata dalla presenza di alcuni grandi organismi industriali, quasi un sistema oligopolista incentrato in primo luogo sulla Fiat, seguita da Olivetti, Snia, Sip , Italgas: grandi imprese che hanno via via incorporato funzioni finanziarie, industriali e distributive.

Le imprese maggiori sono affiancate nel torinese da numerose altre realtà industriali ad esse correlate, come le carrozzerie Garavini, Bertone (1912), Ghia (1915),Pininfarina (1930), o la Ceat. Spiccano anche aziende rientranti in settori diversi che avevano tratto origine da iniziative avviate durante la belle époque come la Nebiolo . Altre sono il frutto di investimenti esteri come lo stabilimento di vernici Duco (una collaborazione tra la Montecatini e l'americana Dupont); altre ancora rappresentano l'eredità delle tradizioni di lungo periodo espresse dall'economia regionale soprattutto in campo tessile come il Cotonificio Valle Susa.

A fianco delle imprese legate alle grandi famiglie della storia dell'industria emergono tuttavia anche figure di imprenditori più spregiudicati, come Riccardo Gualino, le cui carriere, segnate da rapidi successi e da repentini declini, sono costantemente informate a una concezione dell'attività industriale subordinata alla speculazione finanziaria

L'affermazione della grande impresa non porta con sé l'arretramento dei sistemi imprenditoriali che a livello locale erano stati alla base della nascita delle prime esperienze industriali. Questi distretti manifatturieri si erano formati nell'Ottocento attorno alle lavorazioni tradizionali del ciclo della seta, della lana o del ferro. Le imprese vi hanno successivamente trovato occasioni di cooperazione scaturite dalla radicata presenza di informali comunità sociali.

Con il progredire dell'industria, i sistemi locali sono stati partecipi dello svi­luppo di altri settori limitrofi, come il cotoniero, favorendo l'af­fermazione del sistema di fabbrica e la specializzazione in svariate attività manifatturiere di nuovo tipo. In particolare, nell'area piemontese è stata più evidente la compresenza di elementi favorevoli all'affermazione della grande impresa e di spinte alla diffu­sione di unità pro­duttive di piccola e media dimensione.

Si è così formato un tessuto manifatturiero cresciuto all'interno del reticolo dei numerosissimi piccoli centri urbani della fascia collinare prealpina, tessuto connettivo fra la conurbazione di Torino, Ivrea, Biella, Vercelli e Novara. Il fallimento, poi, della banca universale quale centro regolatore del capitalismo industriale pone le basi di un processo che avrebbe portato lo stato a sostituirsi direttamente nel 1933 con la costituzione dell'imprenditoria privata in molti settori.

La creazione dello stato imprenditore non avrebbe rappresentato del resto un evento episodico nello sviluppo industriale del paese: la precoce e continua presenza dell'iniziativa pubblica nel determinare gli esiti industriali di alcune branche di attività, in primo luogo la siderurgia e la cantieristica, aveva già trovato ampia giustificazione nella inadeguata mobilitazione del risparmio verso il capitale di rischio delle società industriali e nella scarsa propensione delle imprese familiari a assumere impegni in settori caratterizzati da una remunerazione degli investimenti fortemente differita.

Tutti i link ai capitoli li trovate nel primo post della Storia dell’Industria Piemontese

 

      Mirò


Fonte: Stoia e Cultura dell’Industria

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