martedì 23 agosto 2011

Il “Bacialè” o sensale di matrimoni

Uno strano personaggio, si aggirava tra le colline ed i paesi più sperduti del Piemonte, era il bacialè, colui che per pochi soldi ha fatto felice molte coppie, riusciva a comporre situazioni disperate. Un mestiere di mediatore mai riconosciuto ufficialmente me di importanza vitale per tante famiglie.

Strana vicenda delle parole! Il nome che nel Medioevo indicava il novizio cavaliere o lo studente universitario (baccalarius, bachelier, baccelliere) cui accenna anche Dante nella Commedia, è passato, nel pittoresco linguaggio della nostra terra, a significare il sensale di matrimoni.

Veramente, in alcune località di collina o di pianura, si usava (e forse ancora se ne conserva il nome) il termine, di incerta etimologia, marussau o marusse (è citato il latino medioevale marosserius oppure anche rablau, o  rabloria, se si trattava di donna).

Dato il carattere, che potrebbe definirsi contrattuale del matrimonio contadino, basato spesso, più che sull'affettuoso consenso dei diretti interessati, , sulla sottile alchimia della valutazione della dote o della ricerca di un "buon partito", c'era bisogno di un intermediario specializzato che favorisse gli incontri, talora burrascosi, e che mediasse le laboriose trattative fra i parenti dei due fidanzati, al fine di regolare, in tutti i particolari, il matrimonio imminente (rangé la sposa).

Il bacialé vero e proprio rappresentava una specie di riconosciuta professione, esercitata, come quella del medico, con il sussidio del birocin (ed era questo un segno di distinzione), oppure a piedi, semplicemente, come i "romei" dell'età medioevale.

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A questa funzione di agente di pubbliche relazioni, del resto modestamente remunerata, egli associava, per lo più, un vero e proprio mestiere: quasi sempre era negoziante di vitelli, mediatore di vino o cercatore di tartufi. Tutti mestieri questi che comportavano una qualifìca costante di itineranti.

Non tutti i suoi interventi matrimoniali avevano, ovviamente, la stessa importanza o lo stesso peso; così la capacità dell'agente "sponsalizio" emergeva soprattutto nei casi più improbabili e difficili. C'era sempre qualche cascina isolata sulle colline, qualche cà dij bosch in cui una fanciulla, già un tantino avanti negli anni e non precisamente una bellezza, era ancora da collocare e perciò poteva prestare attenzione ad una proposta abilmente avanzata dal bacialé. Il quale, per la sua capillare esperienza di luoghi e di famiglie, aveva subito in mente l'uomo "ad hoc". Poteva essere uno scapolo o un vedovo, anche lui sufficientemente maturo, non esattamente un Adone e, magari, gravato di qualche inconveniente, tale però da non costituire un "impedimento dirimente" agli indulgenti ed esperti occhi del sensale, buono, insomma, per un matrimonio che sarebbe stato (garantiva quello) un vero successo.

Il premio per tanto zelo e per la molta costanza era, in caso di affare felicemente concluso, un pastrano, un cappello, oppure semplicemente un foulard che il sensale sfoggiava con visibile orgoglio nel giorno delle nozze.

Non mi risulta che il rablau si sentisse moralmente responsabile dell'eventuale insuccesso del matrimonio da lui combinato (oggi si direbbe gestito); l'accordo o il disaccordo degli sposi, una volta pronunciato il "sì", era affare che non lo toccava più, giacché, anche in questo tipo di contratto, vigeva la formula consacrata a lamente gnun-e, ossia la non accettazione di eventuali reclami della ...parte lesa.

Non è detto poi che per il bacialé, nell'espletamento delle sue mansioni, fossero sempre rose e fiori. C'era, infatti, qualche volta, da parte di un aspirante respinto, oppure semplicemente ad opera di buontemponi, qualche scherzo pesante ai danni di lui: gli staccavano furtivamente il cavallo dal birocin, nascondevano una delle sue ruote, oppure gli tiravano sassi lungo il percorso, o si inventavano altre "facezie" del genere.

Si manifestava, anche in questa occasione, la consueta, corale partecipazione dell'intero paese ad ogni evento matrimoniale un poco fuori del comune. Così avveniva, del resto, nella dispettosa funzione della "porrata" ai danni di un fidanzato a suo tempo respinto, compiuto nel giorno stesso in cui il mancato "partner" si sposava; oppure si procedeva alla ciabra una specie di pubblica chiassata in occasione delle seconde nozze di un vedovo o di una vedova (fé la cabra ).

Ognuno di questi  bacialé  aveva un suo ricordo particolare attinente la professione, come quello che mi raccontava non senza una arguta punta umoristica, un simpatico vecchietto che era del mestiere.

   Una domenica, dopo la mietitura, porta un cliente anzianotto a incontrare la ragazza destinata che abita con i suoi in un casale sulla punta di una collina isolata. Prima di tutto, si procede ad una scrupolosa ispezione dello "stato" della famiglia: lo stabile, le vigne, la stalla; poi avviene l'incontro, impacciato e quasi muto, dei due; presenti, naturalmente, i familiari. Infine la cena e i primi generici accordi sulla dote e sul  fardél.

I due tornano tardi al paese, lungo una stradina di campagna che si distingue solo per il bianco della polvere.

Il neo-fidanzato, ringiovanito dall'entusiasmo, va innanzi con l'andatura di un puledro; dietro trotterella il sensale grassottello e pasciuto fuori ordinanza. In un momento di naturale sosta obbligata, il sensale interrogò il promesso sposo chiedendogli un parere, da uomo a uomo, sulla ragazza. Quello, non senza un certo imbarazzo, rompe il lungo silenzio, esplodendo in una folgorante risposta: "mi piace". Non lo dice nel dialetto abituale, che sarebbe scolorito e povero, ma nientedimeno che in un italiano per lui insolito, spolverato, per l'occasione, dai ricordi della scuola.

Il vecchio bacialé aggiungeva di non ricordare bene quale fosse stato il risultato di quel matrimonio, ma l'epigrafica risposta espressa in italiano, da un personaggio solitamente impacciato e taciturno, gli era rimasta in mente, come la più lusinghiera gratificazione alla sua "onesta" fatica.

 

     Mirò

(Estratto da "il platano", rivista di cultura astigiana, Asti, anno II, n. 5, 1977, pp. 19-21)

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