mercoledì 7 dicembre 2011

Piccola Storia del Piemonte 57/58 - La delusione dell'unità, crisi e rinascita

Piccola Storia del Piemonte, Capitolo 57,
La delusione dell'unità, crisi e rinascita

Ancora nel 1861, specialmente tra i nobili piemontesi, vi sono molte critiche all'unità italiana. La Contessa di Sambuy afferma che l'Italia può stare a casa sua, mentre anche il D'Azeglio è rammaricato che "i piemontesi si siano levati la pelle a profitto di questa razza buggerona".

Con il trasferimento della capitale prima a Firenze e poi a Roma, i Piemontesi si accorgono che quella unità d'Italia che avevano cercato caparbiamente, con tanti sacrifici e tanto eroismo, più per senso del dovere che per convinzione, non riscuote poi tanto entusiasmo nemmeno tra gli italiani, che non gradiscono molto i Piemontesi, il loro stile, le loro regole, la leva militare e così via. Sono visti più come invasori che liberatori (a Roma sono detti "buzzurri", e non è un complimento).

Sorge anche una guerriglia anti-piemontese, che eufemisticamente viene chiamata "brigantaggio", ma che impegna ben 60 battaglioni dell'esercito piemontese, che è repressa brutalmente e che porta, negli scontri che ne conseguono, anche alla distruzione di alcuni villaggi. Lo stesso D'Azeglio scrive che "...i napoletani devono farci sapere se ci vogliono oppure nò..." e che non avrebbe senso il rimanere in Italia meridionale come indesiderati.

Sacra S. MicheleTorino perde una buona parte delle sue risorse economiche, e la città, assieme a tutta la regione, subisce una forte crisi economica, e tende a chiudersi in un certo isolamento, anche perchè viene a trovarsi in una posizione periferica all'interno dello stato. I nobili piemontesi escono dignitosamente di scena, mantenendo comunque una assoluta fedeltà alla casa regnante. Lo stato stesso, sotto l'ispirazione dei Savoia , che a loro volta si ispirano al modello francese, assume subito un carattere molto centralista.

Il Italia l'anti-piemontesismo è diffuso. Già prima dell'unità d'Italia fra i patrioti italiani (piccolissima percentuale della popolazione) sono presenti sentimenti anti-piemontesi che si attribuiscono all'arroganza dei nobili e dei militari, ma che riflettono anche una diffidenza nella cultura scientifica e tecnica nelle quali il Piemonte è di gran lunga all'avanguardia. In realtà, nel periodo, esiste una nutrita letteratura, in Piemonte, spesso di ispirazione sociale, ma è scritta in Piemontese, e dunque completamente oscura agli intellettuali italiani.

Si dice che occorre difendersi dal piemontesismo, e che la regione è governata a modo di caserma e di convento. Dopo l'unità i motivi di insofferenza aumentano. Si dice che i Piemontesi pensano di aver conquistato l'Italia e che l'istruzione obbligatoria, introdotta con i metodi piemontesi, non si adatta all'Italia.

L'esercito che reprime la guerriglia è diretto, sì, da ufficiali in maggioranza piemontesi, ma a tutti gli effetti dovrebbe essere considerato come esercito italiano. La repressione è durissima, la gente non capisce ed attribuisce ai Piemontesi la cosa. Così la coscrizione obbligatoria e le tasse sono attribuite all'opera dei Piemontese (sono in effetti le leggi che erano e sono in vigore in Piemonte), ed i Piemontesi, assieme allo stato, diventano i nemici. In particolare in Sicilia vi è l'abitudine di chiamare Piemontesi i militari ed i funzionari del nuovo stato.

A Torino resta comunque terreno fertile per lo sviluppo della scienza e della tecnologia, già avviato prima dell'unità. Studio e sperimentazione preparano il terreno alla nascita della grande industria, che riscriverà la storia di Torino  e d'Italia. Le istanze sociali si fanno forti, la classe operaia si organizza in sindacati, e su questo terreno si prepara una nuova crescita, che rilancia fortemente il ruolo della città e della regione.

     Mirò


Tutti i link ai capitoli si trovano nel post di presentazione della Piccola Storia del Piemonte

Nessun commento:

Posta un commento